In occasione dell’occupazione del Marco Polo, è successo un piccolo fatto che considero straordinario. Ho aspettato che fosse finita per parlarne. Lo avevo raccontato tra le righe su Repubblica, poi ne ha scritto molto bene Filippo Zolesi, docente della scuola, e infine alcuni giornalisti.

Ma adesso vorrei provare a dirlo più esplicitamente. I vandali che hanno fatto irruzione in alcune scuole creando danni importanti avevano provato a entrare anche al Marco Polo. Gli studenti e le studentesse occupanti li hanno fronteggiati con grande coraggio non lasciandosi intimidire e non accettando che la loro mobilitazione venisse associata alla distruzione di un pezzo di scuola. Rispetto ad altre scuole, dove gli studenti sono stati sopraffatti, forse hanno avuto la fortuna di essere in numero maggiore. Alla fine di qualche ora di un confronto difficile, gli esterni hanno desistito, scaricando la loro rabbia sull’esterno dell’edificio (creando qualche piccolo danno) e poi sono andati via. Il giorno dopo, quando i ragazzi ci hanno raccontato la cosa, è successo il fatto che considero straordinario.

Una rete di studenti universitari si è mobilitata ed è arrivata in soccorso delle ragazze e dei ragazzi della scuola, scegliendo di passare la seconda notte con loro pronti a intervenire, sempre pacificamente, se si fossero ripresentati gli esterni violenti.

E poi un gruppo di circa 30 insegnanti (ma anche qualche Ata e qualche genitore) ha deciso di realizzare un presidio fino a mezzanotte davanti alla scuola. Sono andato anch’io a stare con loro e con gli studenti, facendo una scelta forte, simbolica e non facile, perché mi sembrava giusto essere lì. Abbiamo mangiato qualcosa insieme e condiviso riflessioni molto belle, al di là delle diverse posizioni sull’occupazione (che personalmente è un tipo di mobilitazione che non condivido). Abbiamo ritenuto di intervenire a difesa degli studenti, della loro incolumità e del loro diritto di manifestare contro chi si esprime con la violenza. È stata un’esperienza che mi ha emozionato e commosso. Il segno (e il sogno) di una comunità che si stringe e si aiuta, anche nella diversità, che difende un’idea alta di democrazia, pacifica e plurale.

Volevo raccontarlo e ringraziare i miei studenti e i miei docenti, così come gli Ata e i genitori presenti. Voglio anche dire a tutti di non associare sempre le violenze alle occupazioni. In questo caso, ma anche in molti altri, gli studenti occupanti sono stati rispettosi degli ambienti. Altre volte no. Possiamo pensarla diversamente, ma dovremmo sempre distinguere le situazioni ed evitare le semplificazioni. Vorrei dire anche che un giorno dovremmo anche interrogarci sui violenti, su quello che li muove, sui nostri fallimenti educativi e sociali che stanno alla base delle loro azioni. Perché una società civile si costruisce promuovendo azioni democratiche, ma anche rimuovendo le radici della violenza che emergono intorno a noi, in modi che spesso facciamo fatica a capire.