Viene in presidenza un insegnante. «La madre di uno studente mi ha raccontato che, da quando il ragazzo ha compiuto 18 anni, si è come “accartocciato”, chiuso in sé stesso. Ha detto esplicitamente che “non vuole diventare grande”. In effetti, in classe è cambiato. Rimane molto corretto, ma non è più lo stesso. Come se avesse paura di crescere». Qualche giorno fa ci è venuta a trovare una ragazza diplomata. A scuola aveva manifestato un disagio crescente, che era culminato nell’ultimo anno in una forma importante di mutismo. Pur avendo studiato, alle interrogazioni non parlava. E anche al colloquio della maturità, nonostante la vicinanza di tutti, non ha proferito parola. Solo grazie alla grande disponibilità dei suoi insegnanti e della presidente di commissione, ha avuto la possibilità di rispondere alle domande scrivendo su un foglio. Naturalmente lo ha fatto in forma molto sintetica. In questo modo si è diplomata, pur ottenendo un voto inferiore a quello che avrebbe meritato. Ho ancora impresso nella memoria il suo sguardo durante l’esame. Espressivo e impotente, mentre le sue labbra rimanevano serrate.  Quando è tornata a scuola a trovarci era un’altra persona. Ci ha raccontato della sua esperienza all’Università e abbiamo un po’ scherzato sui suoi silenzi di allora. Poi sono rimasto con la sua insegnante. «Professoressa, come è potuto avvenire un simile cambiamento?». «La spiegazione è apparentemente semplice. Lei era, ed è ancora, molto legata alla scuola. I suoi silenzi erano il sintomo di una paura. La paura di lasciare il nido rappresentato da noi e dalla famiglia. Era come se volesse fermare il tempo per evitare di entrare nell’età adulta. Una volta uscita dal nido, piano piano si è sbloccata. Adesso parla volentieri e ci sentiamo spesso».
Sono casi estremi, punte di un iceberg. Ma di ragazze e ragazzi che hanno paura di crescere ce ne sono molti. Soprattutto adesso, dopo due anni di pandemia. E non è davvero facile aiutarli. Non servono né le forzature né le prediche. Ma non si può nemmeno continuare ad “arredare la loro cameretta”, magari alimentando una narrazione secondo la quale “fuori è pieno di pericoli”. Così cresceremo tanti Tanguy, il personaggio del famoso film francese che ancora a 28 anni non vuole andare a vivere da solo, costringendo i genitori a inventare stratagemmi per buttarlo fuori di casa.