In questi giorni si è aperto un dibattito su alcune dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, che riproponevano un tetto di stranieri nelle classi perché la maggioranza deve essere composta da italiani. Sono seguite precisazioni per dire che si terrà conto di casi specifici.

La prima considerazione che mi viene da fare è che in una scuola, specie se pubblica, nessuno deve sentirsi straniero. Chiunque bussa alla sua porta va accolto. Il suo genere, la sua nazionalità, la sua religione non devono interessarci. Quello che ci dovrebbe interessare è la storia di ogni ragazza e ragazzo, per trovare le migliori soluzioni didattiche e relazionali.

Certo, ci sono storie più complesse e meno complesse. Il sistema scolastico dovrebbe evitare di creare ghetti dove si concentrano tutte le complessità. E invece li crea. La principale responsabilità, va detto con franchezza, è di alcune cosiddette “scuole bene”, che tendono ad escludere ragazzi con percorsi difficili. Quello che viene detto di solito è: «Questa non è la scuola giusta a te». Ma il sottinteso è: «Ci rallenteresti il programma». Il risultato è che ci sono scuole con oltre cento studenti con disabilità e scuole con zero, scuole con oltre il 50% di stranieri e scuole con numeri risibili, scuole con moltissimo disagio psicologico e sociale e scuole con soli studenti benestanti, scuole frequentate da ragazzi con voti alti e scuole con alte concentrazioni di ripetenti. In molti dovrebbero fare autocritica per questa situazione. La politica, le istituzioni scolastiche, i presidi e gli insegnanti delle singole scuole.

Se tutti fossimo davvero disponibili ad accogliere tutti, molte cose si risolverebbero, compreso l’eccesso di studenti stranieri per classe, con l’eccezione ovvia di contesti territoriali a forte immigrazione. Oltre a una migliore distribuzione degli studenti nelle scuole, servirebbe però altro. Maggiori investimenti sui corsi di alfabetizzazione, formazione per presidi e docenti e il supporto di figure professionali come interpreti e mediatori, che ci aiutino a leggere i riferimenti sociali e culturali dei nostri ragazzi per entrare meglio in contatto con loro.  

Tutti dovremmo essere disponibili a parlare apertamente di questi temi, lasciando da parte i furori ideologici. Ma a patto che ci mettiamo d’accordo su una cosa. Le scuole servono ad accogliere, non ad escludere. Altrimenti abbiamo sbagliato mestiere.