Ogni anno al Marco Polo organizziamo un viaggio di istruzione degli adulti. Siamo stati in molti luoghi per conoscere realtà che potessero parlare al nostro essere persone ed educatori. In Calabria abbiamo incontrato chi tutti i giorni, a scuola e nella società, combatte la cultura mafiosa, a Scampia abbiamo visto come si fa educazione in un contesto difficile, a Trieste ci ha colpito chi dà un segnale di civiltà accogliendo i migranti della rotta balcanica. Poi abbiamo intercettato attori che ci hanno raccontato della loro idea di scuola e di come il loro lavoro abbia similitudini con quello dell’insegnante. E tante altre cose. Tutte esperienze straordinarie, che ci hanno fatto crescere e ci restituiscono diversi alla nostra quotidianità scolastica. Più vicini, più rispettosi, più empatici.

Questa volta c’è stato altro. In oltre ottanta tra preside, insegnanti, educatori, amministrativi, tecnici, custodi, siamo stati alla Gorgona. Un’isola suggestiva e incontaminata destinata alla reclusione. Grazie alla sensibilità del direttore, abbiamo assistito a uno spettacolo all’aperto e itinerante di rara bellezza diretto da Gianfranco Pedullà e interpretato da detenuti con attori professionisti. Nel pomeriggio ci siamo intrattenuti a lungo con loro. Prima tutti insieme, poi creando piccoli capannelli. Nelle parole dei detenuti c’è il senso del nostro lavoro.

«Non volevo fare questo spettacolo, ma il regista ha creduto in me, mi ha dato fiducia e ho accettato». «La vostra emozione di spettatori di scuola emoziona noi e ci gratifica». «Siamo visti solo per le cose brutte che abbiamo fatto. È una gioia essere riconosciuti per quanto di buono sappiamo fare». «Abbiamo sbagliato ed è giusto che scontiamo una pena per le nostre responsabilità. Ma vorremmo avere una seconda possibilità, tutti dovrebbero averla». «Questa esperienza mi ha cambiato, ora sono una persona diversa». «Per noi è stato fondamentale il gruppo. Quando eravamo in difficoltà, ci siamo aiutati e sostenuti a vicenda». «Il vostro lavoro per educare e preparare i ragazzi è fondamentale. Se avessi avuto la cultura, non sarei qui».

Le storie dei detenuti e le nostre si sono parlate, trovando molti punti in comune. Corpi e anime si sono sentiti, toccati. Esseri umani sono entrati in contatto come raramente accade. Le loro sofferenze, i loro errori, le loro rinascite sono anche le nostre e dei nostri ragazzi.

Nel viaggio di ritorno eravamo tutti in silenzio e con gli occhi lucidi. Nei giorni successivi ci guardavamo ancora scossi mentre rielaboravamo quello che avevamo vissuto. Credo che questa sia la scuola. Un luogo dove condividere esperienze che ci emozionano, ci cambiano e ci fanno riflettere su chi siamo e chi vorremmo essere.