«Desidero esprimere la mia gratitudine per il sostegno prezioso che lei e i professori avete offerto alla nostra famiglia. Siamo davvero grati per la vostra prontezza nel venire incontro alle nostre esigenze e per aver fatto il possibile in tempi così brevi. Apprezziamo molto l’attenzione e la sensibilità dimostrate nei confronti della situazione di mia figlia. Il vostro impegno e la vostra dedizione hanno reso il tutto molto più gestibile per noi».

A scrivere è la madre di una studentessa che da tempo combatte contro la leucemia. Io in realtà non ho fatto nulla. Hanno invece fatto molto i professori, che si sono presi cura della ragazza con attenzione e generosità. Cose che avvengono in tutte le scuole e delle quali si parla poco. Come poco si parla della dignità di tanti ragazzi e genitori che affrontano situazioni difficili. Si preferisce invece la narrazione di insegnanti nullafacenti, studenti maleducati e famiglie polemiche. Una narrazione davvero ingiusta.

La studentessa e la madre mi chiedono un appuntamento. Ci incontriamo online perché la loro vita ormai si divide tra casa e ospedale e vedersi di persona è impossibile. Quando si avvia il collegamento, l’immagine che compare fa tenerezza. La ragazza ha perso quasi tutti i capelli, ma mantiene una compostezza straordinaria. Le chiedo come sta. «Abbastanza bene, grazie». Mi racconta delle cure, del suo percorso. È in attesa del trapianto. Probabilmente in estate dovrà stare un mese e mezzo chiusa in ospedale. Penso che noi invece saremo in spiaggia e che forse dovremmo ricordarci più spesso di chi come lei non potrà andarci. Ci mettiamo a parlare di scuola. Le faccio i complimenti per i suoi ottimi risultati. Nonostante tutto. Poi la invito a prendere della scuola solo i momenti di piacere e a proteggersi da noi se dovessimo diventare fonte di stress. Quando ci lasciamo, mi rimane dentro la forza tranquilla del suo sguardo.

Alla fine della stessa mattinata, bussa alla porta una ragazza che vorrebbe uscire prima. Quando le chiedo la motivazione, mi racconta che è per stare vicino al suo ragazzo in un momento difficile. Mentre parla, i suoi occhi si riempiono di lacrime. Il suo garbo e la sua riservatezza colpiscono. «Va bene, non importa che tu dica altro. Tieni per te le tue cose. Mi fido di te. Puoi uscire».

Al termine di giornate come questa, penso sempre a quanto sia un privilegio lavorare con i ragazzi. Un’educazione sentimentale continua. Per noi adulti, prima che per loro.