Inizio d’anno. Cattedra di matematica vuota. L’ufficio scolastico nomina una supplente. Sta circa un mese, poi va in maternità. A quel punto tocca alla scuola, che chiama dalle graduatorie. Ma nessuno risponde. Finite le graduatorie, si va sulle cosiddette Messe a Disposizione, domande “libere” inviate dai docenti. La ricerca non è facile. Nel frattempo, i ragazzi rimangono settimane senza insegnante.  Poi ci risponde un giovane laureato. Va in classe, ma dopo un altro mese si dimette per un dottorato all’Università. E si ricomincia. Dopo alcuni giorni, troviamo un altro insegnante. Ma non fa in tempo a prendere servizio che prima si infortuna e poi ottiene anche lui un dottorato. Arriviamo a gennaio con gli studenti che di matematica ne hanno fatta ben poca.

Ci rimettiamo a cercare e alla fine individuiamo due docenti. Nessuno di loro ha mai insegnato. Uno si è laureato da pochi giorni, l’altro è un quarantenne con esperienze in altri settori. Optiamo per il secondo. A questo punto succede l’imponderabile. Parte dalla Calabria e si presenta un lunedì mattina. Vediamo subito che è ombroso, teso. Gli diamo qualche indicazione e lo mandiamo in classe. Ne esce scosso. Fa ancora due ore di lezione e va via. Poi richiama e dice che non ce la fa, che insegnare lo agita, che vuole lasciare. Proviamo a rassicurarlo, inutilmente. Si capisce che è meglio per tutti che si dimetta. Poco dopo lo risentiamo, è già in viaggio per la Calabria. Ha speso soldi e tempo per un’esperienza di lavoro durata tre ore.

Scrivono alcuni genitori, giustamente irritati e preoccupati. Mi scuso e cerco di spiegare la situazione. Intanto chiamiamo il neolaureato. Risponde entusiasta, lavorare nella scuola è il suo sogno. Lo sentiamo alle 10 e alle 16 è già su un treno che dalla Sicilia porta a Firenze. Arriva in stazione alle 6 e alle 7 è davanti alla scuola ad aspettare che apra. Lo accoglie la vicepreside, che ricomincia con le istruzioni e il maternage. È emozionato e insicuro, come tutti noi quando abbiamo iniziato, ma ci prova con lo spirito giusto. I colleghi di matematica lo adottano e lo sostengono. Finalmente le classi hanno il loro professore.

Sono storie scolastiche di ordinaria follia. Qualcuno prima o poi si accorgerà che in questo Paese il reclutamento degli insegnanti non funziona. E che, se vogliamo cambiare davvero le cose, dovremmo ripartire dalla motivazione e dalle attitudini di chi vuole fare questo lavoro.