Leggendo i giornali, mi cade l’occhio su una notizia di cronaca. “Posta mai consegnata e nascosta nel sottoscala. Lo hanno scoperto i carabinieri di Reggio Emilia che hanno sequestrato un migliaio fra lettere e plichi e denunciato un giovane di 28 anni, ex portalettere…. Il ragazzo è accusato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza e interruzione di pubblico servizio”. Un uomo di 28 anni viene appellato con il termine “ragazzo”.
Nella mia esperienza di scuola, prima da docente e poi da preside, un numero sempre più alto di genitori viene a parlare dei propri figli iniziando la conversazione con “la mia bambina” o “il mio bambino”. Anche se si tratta di marcantoni di 18-19 anni alti un metro e novanta. E quando li salutano, prima di una gita scolastica, si assiste a pianti e sventolii di fazzoletti come se i “bambini” stessero partendo per la guerra. Tutte le mattine all’ingresso delle scuole si creano code di auto perché molti genitori ci tengono a portare i figli fino davanti al cancello. Chissà cosa mai succederebbe se li lasciassero qualche metro più in là, forse rischierebbero di arrivare in classe sudati e con la lingua penzoloni. Quando ero uno studente universitario, mi colpì il racconto di una ragazza danese. «Da noi, quando si compiono 18 anni, spesso si lascia la casa dei genitori e si va a vivere per conto proprio. Anche nella stessa città». Nel Nord Europa gli adolescenti sono liberi di muoversi all’interno della loro scuola e prendono da soli decisioni importanti come quelle sulla partecipazione ad alcune attività. In Italia si chiede l’autorizzazione dei genitori per qualunque cosa, anche per attraversare la strada. E lo studente deve avere il permesso dell’insegnante pure per fare pipì. Per dire.
Nessuno vuole criminalizzare le famiglie o le scuole. Ma forse potremmo ammetterlo. Nel nostro Paese abbiamo un problema culturale. Non ci fidiamo. Per questo abbiamo bisogno di controllare sempre tutto. Per questo trattiamo figli e studenti come eterni bambini. Naturalmente così non cresceranno mai perché senza libertà non ci può essere responsabilità. Ma in realtà siamo noi adulti a non volere che crescano. Siamo noi adulti ad avere paura del distacco. Siamo noi adulti gli eterni bambini.