In questi giorni insegnanti e Ata che vogliono cambiare scuola sono alle prese con le procedure di mobilità. È un tema apparentemente banale, ma che in realtà meriterebbe molte riflessioni. Provo a indicarne alcune.
La prima. Dopo lunghe discussioni, negli scorsi anni è stato introdotto un vincolo, quinquennale o triennale, per chi viene immesso in ruolo o ottiene un trasferimento. L’obiettivo è quello di garantire la continuità didattica ai ragazzi. Un principio condivisibile, che però ha aperto numerose polemiche, specie da parte di chi ha la residenza lontano o di chi non si trova bene nella scuola che gli è stata assegnata. Costringere qualcuno a stare dove non vuole ha molte conseguenze negative, che a volte superano i benefici. Forse bisognerebbe ragionare più con la logica degli incentivi che con quella dei vincoli.
La seconda. C’è chi rimane tutta la vita in una stessa scuola o “tipologia di scuole” (la secondaria di primo grado, i licei, ecc.). E se si creassero le condizioni perché il personale della scuola facesse esperienza in contesti diversi? Insegnare o dirigere un istituto professionale non è la stessa cosa che farlo in un liceo classico. Conoscere e sperimentare realtà differenti arricchirebbe tutti. E si potrebbe, ad esempio, riconoscere un punteggio aggiuntivo per chi accetta di farlo.
La terza. Chi fa domanda di trasferimento generalmente cerca la scuola più vicina a casa o quella che valorizza la propria disciplina (chi insegna matematica preferisce lo scientifico, chi insegna una lingua straniera il linguistico, ecc.). Forse potremmo cominciare a pensare che le scuole si scelgono anche perché se ne condivide la linea “culturale”. Per questo servirebbe che ogni istituto facesse una cosa che avviene raramente. Darsi un’identità precisa, definire un modello educativo. In questo modo insegnanti e Ata, ma anche famiglie e studenti, potrebbero orientarsi su una scuola che è più nelle proprie corde. Questo richiede un cambiamento importante. Che le scuole rimangano pluraliste, ma non siano neutre, che prendano posizione indicando con chiarezza il senso delle proprie scelte.
È sempre più urgente ripensare la nostra scuola. Facciamo in modo che anche le procedure di mobilità diventino un’occasione per questo?