«Non li vogliamo», «Devono starsene a casa loro», «Non ci importa che siano donne incinta e bambini». I cittadini di Goro, un paesino vicino la civile Ferrara, si mobilitano con barricate e presidi contro l’arrivo di migranti. Non sorprende che esistano persone razziste e intolleranti. In una società complessa è un fatto probabilmente inevitabile. Ma episodi come questo cominciano a ripetersi troppo spesso e rappresentano un campanello di allarme, il segnale di un sentimento che si sta diffondendo. La semplice condanna non basta più. Ognuno è tenuto a fare la propria parte. Soprattutto la scuola. Che non può parlare d’altro o dispensare le solite pillole di retorica buonista. E nemmeno credere di avere assolto al proprio dovere di inclusione facendo qualche corso di alfabetizzazione. La vera accoglienza è ben altro. E’ una cultura e una pratica. In una scuola che funziona gli studenti imparano a mettersi nei panni dell’altro e ad aiutare chi si trova in difficoltà. Deve diventare un’abitudine, un fatto naturale. Come bere, mangiare, vestirsi. Perché questo avvenga però serve un atto semplice, ma coraggioso. Che genitori e insegnanti decidano di fare della diversità un valore e non un problema.