Ho visto una puntata di X-Factor. Adolescenti e giovani adulti si alternano su un palco esibendo i loro talenti (veri o presunti) in cerca di fortuna. Si coglie in modo chiaro che la differenza non è però tra chi il talento ce l’ha e chi non ce l’ha. La differenza è nell’atteggiamento. Qualcuno, consapevole dei propri mezzi e dei propri limiti, prova ad essere sé stesso. Qualcun altro insegue invece un successo facile senza alcuna preparazione. I primi risultano autentici, simpatici, in contatto con le proprie emozioni. I secondi sono arroganti, vuoti, sgraziati. Fa riflettere. Anche noi che facciamo scuola. Incontriamo i tanti talenti dei nostri studenti e non sempre riusciamo a riconoscerli e valorizzarli, abituati a pratiche che omologano e non fanno emergere le individualità. Il talento richiede però umiltà, sacrificio e conoscenza di sé. Chi cerca scorciatoie rischia di perdersi, finendo spesso per diventare presuntuoso e attribuire ad altri la ragione delle proprie sconfitte. Una scuola seria deve intervenire su tutto questo. Se vuole salvare i talenti dei ragazzi, deve educarli al lavoro e ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Dei propri successi e dei propri fallimenti.