Viene in presidenza una ragazza che conosco bene. In questi anni non l’ho mai vista sorridere. «Buongiorno preside. Vorrei sapere se sono già bocciata per le assenze». «Effettivamente avresti già superato il tetto previsto. E non abbiamo documentazioni che le giustifichino». «A inizio d’anno sono mancata perché ero andata nel mio Paese di origine». «Sì, ma hai continuato a fare tante assenze anche dopo. E sei entrata tardi a scuola molte volte. Sai che non siamo fiscali, ma tu davvero esageri». Silenzio. «Comunque il punto è che tu per noi sei un pianeta misterioso. Non parli, non spieghi. Sappiamo poco di te. Intendiamoci, non sei tenuta a dirci cose che non vuoi. La scuola ha il dovere di rispettare la privacy dei ragazzi. Però, se non adduci una qualche motivazione per quello che fai, noi dobbiamo attenerci ai dati oggettivi. E tu saresti bocciata per il numero di assenze». Silenzio. È evidente che si porta dentro un malessere. Fantasmi dei quali non riesce a liberarsi. E che non ha nessuna voglia di condividere con noi. Non vuole o non può. Chissà. Poi si concentra su un dettaglio, per sviare le questioni principali. «So di entrare spesso in ritardo, ma a volte è per pochi minuti ed è colpa degli autobus. Posso avere il permesso per entrare più tardi?». «Sai che lo concediamo solo a chi abita lontano. Dove vivi?». «A Campi Bisenzio». «Ok, passa in segreteria e te lo diamo. I ritardi brevi si risolvono. Ma sai che non è questo il problema. Comunque posso parlare con gli insegnanti e venirti incontro sulle assenze, valutando una deroga. Però bisogna che da ora in poi tu cambi atteggiamento, frequenti assiduamente e ti impegni nello studio». Mi guarda, ma non so se mi ascolta. Capisce che cerco di andarle incontro, ma in realtà le mie parole non le arrivano. Rimbalzano sulla corazza che si è costruita e che non sono riuscito minimamente a scalfire. Alla fine del colloquio mi ringrazia, si alza e va via. Senza accennare a un sorriso. Con lo stesso sguardo spento che aveva quando è entrata. Nonostante gli sforzi, ci sono ragazzi con i quali non riusciamo a entrare in contatto. Sicuramente sbagliamo qualcosa noi. Nell’approccio, nel linguaggio, nei toni. La verità è che la partita delle relazioni è molto difficile. Si può perderla o vincerla, ma dobbiamo provare a giocarla. Senza pensare che siamo infallibili e senza cedere alla tentazione di uscire dal campo.