Bussano alla porta due ragazze. Hanno un tono molto gentile e, come amiamo dire con un po’ di supponenza noi adulti, rispettoso. Sembrano timide, ma in realtà poi si capisce che non lo sono affatto. «Buongiorno preside, vorremmo chiederle una cosa». «Intanto come vi chiamate e di che classe siete?». «Mi danno i loro nomi e mi riferiscono che sono di prima». «Bene, ditemi». «Nella nostra scuola si fanno tante cose, ma a noi era venuta in mente un’altra proposta e vorremmo sapere se è fattibile». Mentre parlano, le guardo con ammirazione. Il fatto che studentesse entrate da poco nel mondo della scuola superiore decidano di andare dal preside per parlare di una loro idea fa piazza pulita in un attimo di una serie di luoghi comuni che abitano l’immaginario collettivo. Due su tutti. Quello che vorrebbe i ragazzi sempre apatici e quello secondo il quale in presidenza si va solo “per buscarle”, cioè per prendere rapporti e ramanzine.
«Esponetemi la vostra proposta». Mentre pronuncio questa frase, provo a immaginare quello che mi diranno. Ma non ce la potevo fare. «Ci piacerebbe frequentare un corso per imparare la lingua dei segni». Sono spiazzato e cerco di capire. «Ma come nasce questa idea, come vi è venuta in mente? Avete compagni di classe affetti da sordità?». «No». «E quindi?». «Questa estate ho conosciuto una ragazza sorda, avrei voluto comunicare di più con lei. E mio fratello vive la stessa cosa con una persona del suo gruppo». Interviene la compagna. «La lingua dei segni ci incuriosisce e servirebbe conoscerla per poter avere relazioni con tutti. Noi studiamo tante lingue e questa in fondo è un’altra lingua. Poi molti di noi lavoreranno nel turismo, sarebbe bello accogliere le persone che vengono a Firenze e hanno problemi di sordità». «Ragazze, grazie, è davvero una bellissima proposta. Ormai, per i tempi della scuola, per quest’anno non ce la facciamo. Ma ci proveremo il prossimo anno. Però, siccome noi adulti a volte prendiamo impegni e non li manteniamo, voi tornate a settembre quando ricomincia la scuola e mi dite: “Preside, si ricorda che aveva promesso che sarebbe partito un corso sulla lingua dei segni”?».
Personalmente non amo la retorica di chi difende sempre i ragazzi in modo ideologico. Ma non possiamo fare il nostro lavoro se non abbiamo fiducia in loro e non ci apriamo alle loro meraviglie.