Piccolo aneddoto su un episodio di qualche anno fa, quando facevo l’insegnante, prima di diventare preside. Stavo spiegando in una classe che aveva i banchi disposti a semicerchio e mi ero posizionato in avanti, dentro al semicerchio. Dopo un po’ mi volto e noto che la studentessa seduta nell’angolo in fondo a destra aveva la mano alzata. «Dimmi». «Prof, non guarda mai da questa parte». Rimango colpito. Una ragazza aveva alzato la mano solo per segnalare che il suo prof non la stava guardando. Stava evidentemente reclamando attenzione. Un’attenzione che io non le stavo dedicando. Un’attenzione che per lei era così importante da spingerla a superare la timidezza e alzare la mano per chiederla. In quell’occasione avevo commesso almeno due errori. Innanzitutto, mi ero collocato nello spazio in modo sbagliato. Ero troppo in avanti e davo le spalle ad alcuni ragazzi. Poi ero eccessivamente preso da quello che stavo dicendo, dalla mia spiegazione, dallo svolgimento del programma. E così non guardavo i miei studenti, non mi stavo preoccupando di loro, non raccoglievo i loro feedback.

Qualche giorno fa i candidati alle elezioni dei rappresentanti di istituto degli studenti si sono confrontati. Le ragazze e i ragazzi della succursale sono intervenuti più volte per lamentare che vedono poco il preside, che hanno difficoltà a incontrarmi per parlare personalmente con me. Hanno ragione. Nei giorni successivi, passo da tutte le classi della succursale facendo ammenda e chiedendo cosa funziona o non funziona in quella sede, quali sono le loro preoccupazioni e le loro proposte.

Guardare è il primo modo di prendersi cura delle persone. Tutti dovremmo guardarci di più, fare caso gli uni agli altri. Anche semplicemente imparando i nomi, ad esempio. Gli insegnanti che a fine anno non ricordano i nomi dei propri studenti non stanno facendo bene il loro lavoro. Non li hanno visti. Perché nominare i ragazzi è un altro modo di guardarli, di riconoscerli, di dare identità.

In questi giorni, in una classe, un esperto di un laboratorio teatrale e alcuni insegnanti hanno fatto un lavoro straordinario sulle cicatrici. Quelle fisiche e quelle psicologiche. Un percorso incredibile che ha aiutato ogni studente a conoscere meglio sé stesso e i propri compagni.

Si può fare scuola in molti modi. Purché ci si guardi. Altrimenti non è vera scuola. Stiamo facendo solo un triste solitario.