In questo periodo non si fa altro che raccontare di episodi di violenza sulle donne. E non si fa altro che leggere parole di scandalo, di allarme, di solidarietà. Parole, appunto. Belle. Straordinarie. Ma parole. Cosa avviene però, nei fatti, quando una donna subisce violenza? Provo a raccontarne uno, di fatto, che conosco. Con la riservatezza necessaria.

Succede che una donna viene picchiata dal marito. Per l’ennesima volta. E, stanca, decide di scappare di casa. Succede che va dai carabinieri e fa denuncia. Le dicono che però adesso bisogna aspettare che la giustizia faccia il proprio corso. Lei esce dalla caserma e non sa dove andare. Non ha nessuno. Ma succede che trova una privata cittadina che decide di accoglierla in casa. E che si mette a telefonare a tutti. Istituzioni, associazioni. Ma è il fine settimana. “Vedremo, faremo”, le rispondono. Ma nessuna risposta concreta. La privata cittadina accudisce la signora e la bambina, che rimangono con lei. Domenica va dai carabinieri e batte i pugni sul tavolo. “Dov’è lo Stato? Io sono felice di aiutare questa signora, ma quanto tempo si va avanti così? Va trovata una soluzione. Con urgenza”. Succede che i carabinieri si attaccano al telefono e trovano la disponibilità di una struttura di accoglienza. Dove la donna va con la bambina. Ma in questa storia c’è un altro figlio, adolescente. Che viene lasciato con il padre. Succede che passano i giorni. E succede… che non succede niente. Nessuno trova una soluzione. La mamma rimane nascosta nella struttura. La bambina non va a scuola per timore che il padre vada a prenderla e, senza un provvedimento del giudice, le maestre dovrebbero consentirgli di portarla via. I carabinieri attendono un provvedimento del giudice. Le assistenti sociali attendono un provvedimento del giudice. Le maestre attendono un provvedimento del giudice. La mamma attende un provvedimento del giudice. E il giudice non si sa che cosa attenda. Ci si aspetterebbe che sia una questione di giorni. Invece fanno capire che potrebbero passare molte settimane, anche alcuni mesi. Nel frattempo i servizi sociali non attivano un servizio psicologico. E non incontrano mai il ragazzo adolescente. Il padre va tutti i giorni alla scuola elementare in cerca della figlia. Che, naturalmente, non trova. Dopo due settimane decide di andare dai carabinieri per denunciare la moglie per sottrazione di minore. Così ora abbiamo una moglie che ha denunciato il marito e un marito che ha denunciato la moglie. La moglie sta fuori casa, “prigioniera” di una struttura, con una figlia piccola che non va a scuola e con un figlio adolescente che non vede più. Il marito violento sta invece a casa sua, con un figlio adolescente esposto ai suoi umori. Sul futuro nessuna certezza. Tutto questo succede nel 2017 nella civile Firenze. Dove a volte i tempi dello Stato non tengono conto dei tempi delle persone. Dove le donne che denunciano una violenza non trovano un’istituzione che se ne prende veramente cura, accompagnandole e sostenendole nel loro percorso. E dove privati cittadini devono sopperire alla mancanza delle istituzioni mettendo a rischio la propria incolumità. E’ troppo chiedere di spendere le proprie energie a produrre atti concreti di aiuto, finché si è in tempo, piuttosto che esprimere parole di circostanza o versare lacrime di coccodrillo quando è troppo tardi?