Una studentessa di 15 anni scrive un pezzo bellissimo sulla propria omosessualità per il giornale della scuola. Lo intitola “Attratta dalle persone e non dai generi” e dice: «Voglio dare voce a chi, come me, “funziona al contrario”». Riferisce degli amici persi e di quelli che le sono vicini. E dei genitori, che accettano la sua scelta. Chiede poi di firmare il pezzo, una decisione che mi sembra forte e bella. In linea con la scuola libera e civile che stiamo costruendo, dove ognuno possa esprimere quello che sente. Però mi sembra giusto dirle: “Parlane con i genitori. Se siete tutti d’accordo, io sono felice che la tua lettera venga firmata”. Il giorno dopo mi racconta che loro sono contrari anche a pubblicarla in forma anonima. Hanno paura dei giudizi della gente su di lei. Chiamo la madre. “Capisco i suoi dubbi, ma non possiamo deludere il coraggio della ragazza”. Lei non se la sente e io decido di non forzare la mano. Accetta comunque che il pezzo esca con uno pseudonimo. La ragazza non metterà il nome, però ci saranno le sue idee e le sue emozioni. Non è esattamente quello che avrei voluto. Ma non possiamo privare i ragazzi del sostegno delle famiglie. E’ troppo importante che il cambiamento si faccia tutti insieme.