C’è una questione su cui la scuola non si interroga quanto dovrebbe. E’ la questione del sapere. Spesso se ne parla solo per lamentarsi che i nostri studenti non sanno abbastanza. Eppure i ragazzi oggi hanno un facile accesso a molte fonti. Difficile dire se, in termini quantitativi, sanno meno di quanto sapevamo noi alla loro età. In realtà, semplicemente conoscono cose diverse perché hanno fonti diverse e sono interessati a cose diverse. Oltretutto, chi ha avuto modo di incontrare studenti di altri Paesi verifica regolarmente che i nostri sono generalmente più preparati, al di là di quello che dicono alcuni discutibili test internazionali. La questione più interessante però è un’altra. Non è “quanto sapere”, ma “quale sapere” dovrebbe fornire oggi la scuola. E’ una domanda che ci poniamo? Francamente non sembra. In genere procediamo stancamente su binari già segnati. Così, mentre la società si trasforma con rapidità impressionante, la scuola (non tutta, fortunatamente) ripropone gli stessi contenuti che venivano forniti ai nostri nonni. Si fa spesso l’esempio della storia, della letteratura o dell’arte. Che sono ancora ferme in molte scuole alla prima metà del Novecento. Cioè a settant’anni fa. La prima cosa che dovremmo fare sarebbe quindi quella di ripensare e aggiornare la programmazione dei programmi scolastici perché è davvero divenuto intollerabile che non si conosca l’attualità. Il tema però è più complesso. La scuola non dovrebbe solo trasmettere conoscenze, ma, come si dice, formare anche persone e cittadini. E allora dovremmo lavorare su tutte le forme di sapere, anche il saper essere e il saper fare. Forse dovremmo parlare al plurale di saperi, curando, tra l’altro, tutti i “saperi di cittadinanza” che servono nella società contemporanea e che, chiaramente, sono assai diversi da quelli che venivano richiesti in passato. Perché cambia l’economia, cambiano le norme, cambiano le caratteristiche sociodemografiche del mondo in cui viviamo. Cambia praticamente tutto sotto i nostri occhi. Ma la scuola no. Rimane spesso immutabile, nella convinzione che ci sia una sorta di sapere universale da trasmettere. Certo, ci sono nozioni culturali di base che è bene che tutti sappiano e che è importante vengano condivise da generazioni diverse. Ma la scuola dovrebbe preoccuparsi anche di essere al passo con i tempi. Per fare questo deve innanzitutto riconoscere che non si può sapere tutto e smettere la folle rincorsa a riempire di contenuti la testa dei nostri figli. Assumiamoci la responsabilità di scegliere, selezionando quello che riteniamo importante e rinunciando a cose che impareranno da soli. Potremmo, ad esempio, privilegiare una parte di sapere, quella che dà ai ragazzi gli strumenti per interpretare la realtà in cui vivono e progettare in modo libero e consapevole il loro futuro.