Bussa alla porta una professoressa. «Preside, sono qui con una studentessa che vive un momento difficile. Avrei piacere che parlasse anche con lei». Entrano insieme e si siedono. «Ciao, sai che non sei tenuta a dirci cose personali. Però, se non stai bene e hai piacere di parlare con noi, ci siamo. Cosa succede?». «Mi dispiace disturbarla e farle perdere tempo». «Non ti preoccupare, siamo qui per voi». Ma non finisco la frase che scoppia a piangere. «È che nessuno mi ascolta. Non ho persone con cui parlare, con cui condividere quello che sento». «In classe non hai compagni con cui ti trovi bene?». «I compagni sono gentili, ma non sono nate amicizie. Non ci vediamo mai fuori. Con alcuni abbiamo un gruppo whatsapp, ma io non intervengo. Un compagno mi ha detto che lui c’è per me se ho bisogno di parlare, ma io non riesco ad aprirmi». «In casa come va?». I pianti, che si erano interrotti, ripartono più forti. «I miei genitori sono tutto il giorno fuori. Ma anche quando ci sono non mi ascoltano mai. Mia madre, quando litiga con il babbo, viene da me e si sfoga, ma io non posso farlo con lei. Non mi capiscono. Non vedono quello che sono. E poi non hanno fiducia in me». «In che senso?» «Prendo un esempio. Ho fatto solo due giorni di assenza in tutto l’anno. L’altra mattina mi sono sentita male e non volevo andare a scuola, ma mia mamma mi ha detto: “Non è che lo fai per scansare un compito?”. Non mi credono mai». «Hai altri parenti o amici fuori dalla scuola a cui sei legata?». «Ho una cugina più grande che ammiro. È un po’ ribelle, protesta quando le cose non le tornano. Per questo i miei genitori non vogliono che la frequenti. Lei fa quello che io non ho il coraggio di fare». «Oltre la scuola, hai altri interessi?». «Suono la chitarra. Amo la musica metal, ma non piace ai miei genitori, non vogliono che la suoni perché gli dà fastidio. Devo suonarla quando non ci sono. Ma cosa c’è di male se mi piace il metal?». Con la professoressa cerchiamo di consolarla, incoraggiandola ad esprimere quello che sente e a cercare di più i coetanei. Le segnaliamo il servizio psicologico della scuola, ma non sappiamo se i genitori darebbero il consenso. Poi le ribadiamo che per qualunque cosa ci siamo, che può parlare con noi quando vuole.
Per tutto il giorno mi porto dentro la sua tristezza. Davvero alcuni adulti non si rendono conto di quanto male possano fare ai ragazzi. Che poi, alla fine, chiedono soltanto di essere visti e rispettati.