Mi scrivono gli studenti di una quinta. «Non ci troviamo bene con un insegnante. Il suo comportamento nei nostri confronti è aggressivo. Inoltre, durante le sue ore, non riceviamo una spiegazione adeguata degli argomenti. Siamo arrivati al limite: speravamo che le cose potessero migliorare, ma, a pochi giorni dall’esame, tutto è rimasto uguale. Non ci sentiamo sostenuti per affrontare la maturità. Non sappiamo se lei può prendere provvedimenti, ma volevamo metterla al corrente di quello che succede». Provo a rispondere. «Prendo atto di quello che mi dite, ma la vostra insegnante, come sapete, sarà commissario interno all’esame, quindi bisogna che troviate una mediazione. Quello che si può fare è che io parli con lei o che le parliamo insieme». Ci pensano un po’ prima di rispondere. «Scusi il ritardo. La ringraziamo per la sua disponibilità. Ne abbiamo discusso tutti insieme e siamo arrivati alla decisione di rifiutare entrambe le offerte. Ci dispiace averla disturbata». I ragazzi hanno deciso di fare da soli. Non si sa se per opportunità o per convenienza. Forse hanno temuto che un mio intervento potesse avere ripercussioni negative. Una scelta che dà da pensare.

Qualche giorno dopo altri studenti di quinta mi segnalano problemi con le spiegazioni, le verifiche e i voti di una docente. «Non riusciamo a capire i suoi criteri di valutazione e cosa sbagliamo nei compiti». Questa volta accettano che io parli con l’insegnante e con lei concordo un mio intervento in classe. Quando arrivo, chiedo a professoressa e studenti che spieghino le rispettive ragioni. I toni però rapidamente si alzano. Si percepisce una tensione antica e quindi ognuno rimane sulle sue posizioni. Provo allora a fare un ragionamento. «Fra pochi giorni sarete insieme alla maturità. Non conviene a nessuno alimentare il conflitto. Proviamo a mettere un punto sul passato e a cercare di chiarirvi rimanendo su questioni concrete. Poi forse tutti dovete accettare che esistono idee e sensibilità differenti. Finito l’esame, ognuno proseguirà per la sua strada». I toni si abbassano. Esco e li lascio proseguire da soli nella discussione, non so con quale esito.

Incontro un altro studente. Esasperato. «Non vedo l’ora che finisca l’anno scolastico per prendere il diploma e iniziare l’Università. Almeno lì nessuno mi stresserà con compiti e interrogazioni e potrò gestire il mio tempo da solo». Quando mi saluta, rimango a riflettere sulle sue parole.