I contagi in crescita suscitano allarme e spingono tutti i Paesi a misure restrittive. Un dato però colpisce. La Francia ha deciso un lockdown, ma tiene le scuole aperte. La Germania annuncia provvedimenti duri, ma tiene le scuole aperte. Nonostante la gravità della situazione, dappertutto in Europa si cerca di salvaguardare l’istruzione. In Italia invece si chiudono gli istituti superiori e si discute di ulteriori chiusure. Alcune regioni si sono portate avanti, fermando le scuole di ogni ordine e grado.
È evidente la scarsa considerazione che abbiamo in Italia per la scuola. Ma è evidente anche che alcuni politici nazionali e locali cercano nella scuola un capro espiatorio per nascondere le proprie responsabilità. Così chiudono i luoghi della formazione e della cultura, tra i più controllati e sicuri, per coprire l’inefficiente gestione dei trasporti pubblici, il mancato potenziamento degli Uffici di Igiene, l’assenza di un vero tracciamento dei contagi, le sconsiderate aperture delle movide estive, i controlli inadeguati nei luoghi di assembramento. È lì che andrebbero cercate le ragioni dei contagi in aumento, non nelle scuole. Ed è lì che bisognerebbe intervenire. Per questo la chiusura delle scuole continua a essere una scelta facile e ingiusta.
Le scuole superiori in Toscana sono aperte per il 25% degli studenti. E si assiste a scene davvero tristi. Insegnanti che si aggirano in ambienti spettrali e semideserti ed entrano in aule vuote per collegarsi con i ragazzi a casa. Ne escono scossi, affranti. Fare lezione in un’aula vuota è la morte della scuola. L’educazione ha bisogno dei corpi, degli sguardi, degli odori, di essere insieme fisicamente nello stesso spazio. Se dobbiamo fermare il Paese, facciamo in modo che l’ultimo a chiudere la porta sia un bambino. Non chiudiamogli la porta in faccia mentre ancora mezzo Paese è aperto.