In questi giorni si sta molto discutendo della vicenda accaduta in una scuola superiore della provincia di Firenze. Uno studente avrebbe puntato una pistola finta contro un docente e i suoi compagni avrebbero ripreso la scena condividendola sui social. Il professore ha espresso su Repubblica la sua comprensibile amarezza e la volontà di querelare per diffamazione gli studenti che hanno diffuso il video. E anche la scuola si è rivolta all’autorità giudiziaria. L’opinione pubblica, colpita dalla notizia, invoca, come spesso accade, punizioni esemplari. Ma chi fa educazione non può lasciarsi andare al riflesso automatico della punizione esemplare. Intendiamoci, è evidente che in un caso come questo le sanzioni sono necessarie, anche solo per dare ai ragazzi il segno di un confine che non si deve superare, come sosteneva ieri, sempre su Repubblica, Silena Santoni. È anche inevitabile avvisare le forze dell’ordine di fronte a un reato diffuso sui social.
Ma noi abbiamo innanzitutto il dovere di capire, di interrogarci sulle ragioni di quello che è successo. Perché un ragazzo porta in classe una pistola? Perché la punta contro un insegnante? Perché i compagni reagiscono divertiti e non scandalizzati? Perché riprendono la scena con il cellulare e poi la condividono? Se non rispondiamo a queste domande, rischiamo di reagire in modo sbagliato e di adottare provvedimenti che non servono a nulla.
Per la mia esperienza, la questione di fondo è che alcuni ragazzi non percepiscono la gravità dei loro comportamenti. Probabilmente quello studente pensava che puntare una pistola contro un insegnante fosse una simpatica goliardata, non un reato. E, allo stesso modo, gli studenti che riprendevano la scena ridendo per poi condividerla non si rendevano conto di quello che stavano facendo. I ragazzi coinvolti in vicende come queste non hanno cognizione di cosa sia un reato e di cosa sia uno scherzo. È utile informarli sulle conseguenze delle loro azioni così come riflettere sulla dipendenza da cellulare. Ma dovremmo agire anche su un fronte diverso e altrettanto importante. Quello della consapevolezza. Serve un’azione di alfabetizzazione emotiva perché dimostrano quantomeno mancanza di sensibilità e di empatia. Non colgono la sacralità di quanto avviene in un’aula, non avvertono l’esigenza di salvaguardare la riservatezza per rispetto delle persone presenti.
L’alfabetizzazione emotiva si può fare in molti modi. Credo che sarebbe particolarmente efficace farla attraverso il teatro. Il teatro aiuta a raccontarsi, a mettersi nei panni degli altri, a leggere le emozioni. E anche a capire cosa è davvero l’umorismo. E allora, a chi brandisce per gioco una pistola o un cellulare, perché non proviamo a rispondere con il teatro?