Arriva in una classe prima la circolare sulle modalità di elezione degli organi collegiali. Dopo la lettura della professoressa, si sviluppa una vivace discussione. «Quindi dobbiamo eleggere due rappresentanti di classe?». «Sì». «Ma devono essere un maschio e una femmina?». «Non necessariamente». «Beh, forse sarebbe più giusto». «Valutate voi, potete decidere liberamente. In Italia nei luoghi di potere le donne sono sottorappresentate. Per questo motivo in alcuni casi sono state previste le quote rosa». «E cosa sono?». «Una percentuale minima di donne elette che deve essere garantita». «Io non sono d’accordo», dice una ragazza. «Voglio avere posti di responsabilità perché valgo, non perché rientro in una quota protetta». «Hai ragione, però potrebbe servire a fare eleggere più donne». «In questa classe la situazione però è capovolta. Con i due terzi di ragazze, sono i maschi a essere minoranza e a rischiare di non essere eletti. Ritenete giusto che ci debba essere una sorta di “quota azzurra” perché sia garantita la loro rappresentanza?». «Io voto chi mi piace, non mi interessa se sia maschio o femmina», dice una studentessa, ma un ragazzo replica. «Io non lo so. È una cosa alla quale non ho mai pensato prima. Ho bisogno di tempo per riflettere. Glielo posso dire tra qualche giorno, prof?».

Una circolare scolastica può diventare occasione per un confronto sulle nostre idee di democrazia e sui rapporti tra il maschile e il femminile. Ma serve un insegnante bravo. Capace di sollecitare correttamente gli studenti e fare in modo che possano esprimere liberamente i propri pensieri e i propri sentimenti. È un esercizio prezioso anche per noi adulti. Ascoltare i ragazzi per capire come ragionano. La loro logica spesso ci sorprende e, istintivamente, tendiamo a condannarla. Ma, alla fine, è un segno di ignoranza. Critichiamo quello che non conosciamo. Forse occorre ripartire da qui. Tutti, adulti e ragazzi. Come ha fatto uno degli studenti che hanno discusso sulle elezioni dei rappresentanti, se ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo, sul quale non ci eravamo mai interrogati, sarebbe meglio prendersi del tempo. Per riflettere, per ascoltarci, per capire. Non possiamo continuare a parlare (e a sparlare) di cose che non sappiamo. Soprattutto non possiamo farlo in una scuola, dove si dovrebbe imparare che bisogna studiare prima di parlare.