Il primo quadrimestre è finito e le scuole celebrano il rito degli scrutini. Quando si decide il voto di condotta, la discussione si anima. «Questo ragazzo merita nove. E’ corretto e disciplinato». «Nove? Ma se dorme sempre in classe». «Dorme, ma non russa e ci consente di fare lezione in santa pace. Gli altri fanno continuamente confusione». «Ma non si può mettere nove a uno che sta sempre zitto. Bisogna premiare l’impegno e la partecipazione». «E’ vero, non partecipa, ma fa tutto quello che gli si dice di fare». «Ecco, se a sedici anni un ragazzo fa tutto quello che gli si dice di fare, c’è da preoccuparsi. Altro che mettergli un buon voto, quattro gli si dovrebbe dare!». «E a quest’altra studentessa quanto si mette?». «Lei ha cinque rapporti e ha fatto molte assenze. Io sarei per il sette in condotta». «E’ vero, è una sciagurata, però è la più intelligente della classe. Ed ha anche dei buoni voti, nonostante le assenze. La verità è che è una ragazza autonoma, che ragiona con la sua testa». «No, è indisciplinata, non rispetta le regole, fa quello che le pare. Non sa stare al suo posto, bisogna darle una lezione. Sette, forse anche sei». «Sentite, colleghi, però bisogna mettersi d’accordo. Cosa vogliamo valutare con questo voto?». Il confronto che si apre nelle scuole sul voto di condotta racconta bene dell’idea di società che abbiamo. Cosa intendiamo per buona condotta? Quali comportamenti riteniamo meritevoli di una valutazione positiva? Una volta stare zitti e buoni era considerato un segno di rispetto e di buona educazione. Oggi oscilliamo tra il rimpianto di quei tempi e l’elogio della trasgressione a prescindere. E se cercassimo la buona condotta tra coloro che rispettano le regole, ma si espongono, partecipano e esprimono le loro idee?