Sono iscritto da sempre alla Cgil scuola, ora FLC. E intendo rimanerci. Ma è venuto il momento di fare una riflessione seria sul ruolo e sull’azione di un sindacato moderno. Innanzitutto va detto che non è possibile assistere ancora alla reciproca delegittimazione tra Governo e sindacati. Troppe volte il Governo ha messo in campo azioni unilaterali e ha avuto toni offensivi verso i sindacati. E troppe volte i sindacati accusano il Governo di essere autoritario e antidemocratico. Ma nelle settimane scorse, almeno sulla scuola, qualcosa è cambiato.
La riforma prospettava la chiamata diretta dei presidi ovvero la possibilità che si scegliessero i docenti più adatti alla propria scuola. Insegnanti e sindacati l’hanno sempre criticata, temendo nepotismi e favoritismi. Il Governo ha allora proposto la “chiamata per competenze”. La scuola individua le competenze che le servono, i docenti compilano un curriculum e poi domanda ed offerta si incrociano, con possibilità di intervento del preside molto circoscritte o nulle. Per la prima volta sarebbe saltato il principio dell’anzianità in nome della competenza. Ma i sindacati, che pure avevano ottenuto il passo indietro sulla chiamata diretta, hanno rotto le trattative. La ragione dichiarata è che il numero di competenze tra le quali la scuola poteva scegliere era troppo ampio. Ma in realtà il sindacato sembra vivere una contraddizione al suo interno tra chi è disponibile al dialogo e chi si muove in una logica antagonista.
Intendiamoci. Il Governo ha le sue responsabilità. Innanzitutto quella di dimenticare troppo spesso che non ci può essere rinnovamento di un Paese se non si garantisce il suo funzionamento normale. Cosa che al momento non è. Ad esempio nella scuola. Siamo alla fine di luglio, tra poco più di un mese l’anno scolastico riparte e scuole ed uffici territoriali sono nel caos perché non sanno come e quando realizzare le mille operazioni che restano da fare. E i concorsi per i nuovi docenti sono in grave ritardo, nonostante la dedizione di commissioni retribuite con compensi irrisori. A settembre quindi ricominceremo nell’incertezza e di questo il Governo porta la principale responsabilità per aver gestito le tante procedure con colpevole ritardo ed approssimazione.
Ma la proposta del Governo sulla chiamata diretta era un fatto nuovo, un’apertura reale su un tema simbolicamente importante: la prevalenza del principio della competenza su quello dell’anzianità. Il sindacato doveva starci. Doveva essere parte di quel processo di cambiamento. Altrimenti il Governo, giustamente, lo intesterà solo a sé. E il sindacato passerà, per l’ennesima volta, come un soggetto che vuole mantenere lo status quo.
Inoltre va detto che il sindacato ha rotto le trattative perché ritiene che la difesa dei diritti dei lavoratori debba passare per l’applicazione di criteri oggettivi, di automatismi che non lascino alcuna discrezionalità. Una visione che oggi non è più accettabile. Ma veramente crediamo possibile abolire la libertà delle persone di valutare e decidere? Veramente crediamo che l’imparzialità si possa garantire solo con un sistema di regole e procedure che portino meccanicamente alle decisioni? A me pare una strada sbagliata e pericolosa. Fra l’altro abbiamo esempi innumerevoli che dimostrano che le mille burocrazie imbrigliano il sistema e rendono più difficile tutelare il lavoratore. Forse dovremmo avere meno paura delle persone e delle loro scelte. E chiedere poche norme, chiare e facili da attuare e persone competenti che però rispondano di quello che fanno. A cominciare dai dirigenti.
Mio padre è un vecchio comunista che oggi ha 92 anni. In tutta la sua vita mi ha insegnato a rispettare il sindacato, ripetendomi quanto abbia contribuito a rendere la società più giusta e civile. Anch’io conosco sindacalisti che tutti i giorni si dannano l’anima per tutelare i lavoratori. Ma oggi dobbiamo riconoscere che il sindacato è in difficoltà. E non lo si aiuta tacendo. O difendendolo a prescindere. Lo si aiuta aprendo una discussione forte e franca. Nella quale si abbandoni l’idea che fare il sindacalista significhi semplicemente chiedere un aumento di stipendio e più diritti. Sacrosanti. Ci vogliono però anche onestà intellettuale, idee e un progetto moderno di società. Ed è importante mettere da parte i servi sciocchi e coloro che ripetono stancamente slogan vecchi di molti anni. Tutto questo non è più una possibilità. E’ ormai una questione di vita o di morte. E la società ha bisogno di un sindacato vivo e vitale.