Ho trascorso le feste insieme ad amici e al loro figlio di 16 anni. Un ragazzo sempre promosso a scuola, che quest’anno si è bloccato e ha smesso di studiare. I genitori naturalmente si sono allarmati e hanno cercato di “stargli più addosso”. Ma questo ha accentuato il suo blocco. Ho provato ad ascoltare il suo punto di vista. «E’ vero, ho un momento di rifiuto per lo studio». «Hai conflitti con gli insegnanti o con i compagni?». «No, mi trovo bene. Sono io che ho semplicemente bisogno di una pausa. Può capitare, no?». «Certo, può capitare. Anche a noi adulti. Però, se si prolunga troppo, può essere difficile ripartire». «Vorrei che ci si fidasse di me. Non voglio abbandonare la scuola, so che è importante portarla a termine». La madre, che in casa rappresenta il “senso del dovere”, riconosce di eccedere nel controllo. E lui reagisce irritato, staccando la spina e rinunciando ad assumersi le sue responsabilità. Arriva il momento dei saluti: “Davide, mi raccomando, ce la puoi fare”. “Non ce la posso fare. Ce la farò” è la sua risposta.