Non è vero. Non è vero che le immagini in cui si vedono ragazzi e genitori che aggrediscono insegnanti o presidi rappresentino gli adolescenti e le famiglie di oggi. E non è vero che i docenti in balia di quegli eventi rappresentino la scuola. Sono eccezioni. Reali, gravi, ma eccezioni. La maggioranza degli studenti e dei genitori si comporta correttamente e la gran parte dei docenti fa bene il proprio lavoro. Oltretutto i bulli non sono certamente una novità. Ci sono sempre stati. Così come gli insegnanti in difficoltà, che non riuscivano a tenere la classe e che venivano derisi durante le lezioni. La verità è che parliamo di fatti che sono sempre accaduti. Semplicemente prima non esistevano i telefonini che li riprendevano e i social che li diffondevano. Si può dire però che siano cresciuti rispetto al passato? Nessuno può affermarlo con certezza perché mancano statistiche attendibili. Ma è forte la sensazione che, sia pure largamente minoritari, questi fenomeni stiano aumentando per numero e intensità. Dunque, cosa possiamo fare?

Innanzitutto renderci conto che il comportamento da bullo di un ragazzo non parla solo di quel ragazzo. Parla spesso anche di compagni complici, di genitori deboli e distratti, di insegnanti che hanno perso autorevolezza, di presidi che fanno i burocrati e non gli educatori. Per questo non bastano le misure esemplari che tutti chiedono in questi casi. I provvedimenti disciplinari, che sarebbe meglio fossero giusti più che esemplari, vanno certamente presi. Ma non serviranno a nulla se non facciamo un ragionamento più ampio. Se non aiutiamo quei ragazzi a riflettere sui loro comportamenti, se non chiediamo ai loro compagni perché non sono intervenuti, se non capiamo perché gli insegnanti non ce la fanno più, se non analizziamo perché i presidi non riescono a governare le loro scuole.

In quei video a me non colpisce tanto l’aggressività dei bulli. Singole persone violente ci sono sempre state. Mi colpisce la rottura dei legami sociali, lo smarrimento del sentimento di comunità. Mi intristisce la solitudine del docente e la mancanza di reazione degli studenti. La scuola dovrebbe essere il nucleo di una società dove si affermano principi di civiltà e solidarietà. Genitori, insegnanti e studenti dovrebbero condividere uno stesso obiettivo e sostenersi a vicenda. Invece talvolta sembriamo gli uni contro gli altri armati. E’ da qui che occorre ripartire. Ma dobbiamo farlo innanzitutto noi adulti, recuperando insieme il filo di un discorso collettivo. Tutti chiedono maggiore rispetto. Oggi però, che ci piaccia o no, il rispetto non è più dovuto. Si ottiene sul campo in base ai comportamenti che teniamo. Il rispetto per un professore non arriva perché ha i capelli bianchi o il registro in mano. Arriva se è competente e autorevole e svolge con passione il proprio lavoro. E’ una partita diversa, più difficile e interessante. Cominciamo allora noi adulti a fare meglio il nostro dovere e a rispettarci di più. I genitori e l’opinione pubblica rispettino di più la fatica di chi insegna. E la scuola rispetti di più le famiglie, che si muovono tra mille difficoltà. Il rispetto dei ragazzi verrà di conseguenza. Qualora comunque venisse a mancare, servono provvedimenti forti, che delimitino i confini del vivere civile. Ma non dimentichiamo mai che non possiamo trattare i ragazzi come criminali. Chi vuole chiuderli da qualche parte e buttare via la chiave è bene che cambi mestiere. Il compito della scuola non è reprimere o escludere. Il nostro compito è quello di educare. E capire come produrre un cambiamento nei ragazzi che sbagliano. Serve essere accoglienti ma severi, agire sulla capacità di riflessione ma anche sulle emozioni e sulle relazioni. E’ difficile. Ma nelle pieghe di questa difficoltà sta la ragione più profonda del nostro lavoro. E la possibilità di ritrovare il senso del nostro stare insieme.