Arrivano due ragazze di una classe prima. Timorose, si tengono per mano. «Preside, vorremmo chiederle una cosa». «Ditemi». «Ci piacerebbe addobbare la nostra aula per Natale, possiamo?». «L’aula è vostra, parlatene con gli insegnanti e fate quello che volete». «Grazie, poi ci sarebbe un’altra cosa. Ma non sappiamo se possiamo». «Di cosa si tratta?». «Vorremmo tenere in aula un pesciolino rosso. Ce ne prenderemmo cura noi e poi, durante le vacanze, una compagna lo terrebbe a casa». «Va bene». «Davvero? Possiamo?». «Certo, basta che siate responsabili, ve ne prendiate davvero cura e condividiate sempre la decisione con i vostri insegnanti». Escono ballonzolando. Io mi interrogo su quello che sta succedendo.
Nella stessa giornata bussano gli studenti della redazione social. «Ci siamo confrontati su alcuni temi, poi abbiamo scritto delle frasi e vorremmo distribuirle in giro per la scuola. È possibile?». «Certo, la scuola è vostra, potete dire quello che volete come volete, purché nel rispetto degli altri e degli ambienti». Il giorno dopo in mille angoli della scuola compaiono biglietti e cartelli. «Il mondo cambia con il tuo esempio, non con la tua opinione». «È attualità tutto ciò che ci circonda». «Tutti siamo artisti». «Troppe storie per pochi ragazzi». «Penso che penso troppo». «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
In questi giorni, nelle due sedi della scuola, abbiamo messo un pianoforte all’ingresso. Come nelle stazioni, l’idea è quella di posizionarlo in un punto di passaggio, in modo che tutti lo vedano e lo possano suonare. «Ma davvero possiamo suonarlo?». «Certo, è qui per voi, perché lo utilizziate quando ne avete voglia». Da lì è iniziata una storia incredibile. Dalla mattina alla sera qualunque momento è buono per andare a suonare e cantare. Da soli o in compagnia. Musiche tristi o allegre. Ragazzi insospettabili, a volte problematici in classe, si siedono al pianoforte e acquistano luce nuova, rivelando talenti che spesso la scuola non vede.
Sono storie di scuola quotidiana. Delle quali mi colpiscono due cose. L’esigenza degli studenti di chiedere sempre il permesso, di essere autorizzati a fare le cose. E l’urgenza di esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni. Dopo due anni di pandemia, abbiamo tutti il dovere di restituire voce ai ragazzi. Tutti, ma soprattutto la scuola.