Quando incontro gli studenti, mi sento ripetere spesso una frase: «A scuola mi trovo bene, ma c’è una cosa mi dà molto fastidio: gli insegnanti che urlano».

La scorsa settimana ho raccontato il caso della ragazza spagnola con tratti autistici che ha partecipato a uno scambio linguistico. Alla fine, tutto è andato per il verso giusto. È stata accolta da una famiglia con la quale si è trovata molto bene. «Sorridente, felice, ha interagito piacevolmente con tutti. Lei è a disagio solo quando c’è troppa confusione. A quel punto preferisce allontanarsi e stare per conto suo». Quando me lo hanno raccontato, ho pensato che quelli problematici siamo noi, che viviamo nel caos e siamo diagnosticati normali da qualche psicologo burlone.

L’altro giorno uno dei fenomeni della scuola chiede il permesso di uscire dall’aula per andare in bagno. Come al solito, invece di andare in bagno, va in giro dappertutto tranne che in bagno. A un certo punto passa davanti a un’aula dove i ragazzi stanno facendo baldoria e il professore grida per cercare di ristabilire la calma. Senza successo. Irritato dalla situazione e infastidito dal rumore, decide di intervenire con una mossa paradossale. Entra lui e si rivolge in modo deciso agli studenti: «Ora basta, fate silenzio e rispettate il professore che deve fare lezione». Poi esce e torna nella sua classe, raccontando l’episodio alla sua professoressa, che gli si rivolge incredula: «Non mi dire che l’hai fatto davvero». Lui candidamente conferma, dimostrando che in fondo anche i fenomeni hanno un cuore.

L’altro giorno sono andato alla presentazione del nuovo libro di Michele Arena “Tutti gli eroi che conosco”. Una presentazione inusuale e straordinaria per molti motivi. Ma soprattutto perché lui e gli studenti dei suoi laboratori di scrittura che sono intervenuti hanno intrecciato le loro storie personali con quelle del romanzo, mescolando parole e corpi in un clima intimo e intenso.

Magari questa è la strada della rivoluzione. Prendersi un tempo per stare con chi ha voglia di ascoltarsi e ascoltare, lasciando in balia di loro stessi gli amanti delle risse verbali. In un mondo in cui tutti urlano, il cambiamento è possibile abbassando la voce, non urlando più degli altri. Non è un caso che ad esempio Jannik Sinner, tennista introverso e mai plateale, sia oggi tra gli sportivi più amati. Forse, nella società della comunicazione bulimica e isterica, ci potremo salvare solo sottovoce.