Mi viene segnalato il caso di una studentessa. La faccio chiamare. «Vorrei parlare con te perché alcuni insegnanti sono un po’ preoccupati, a loro sembra che negli ultimi tempi il tuo umore sia un po’ cambiato. Non mi raccontare però cose che preferisci tenere per te. Vorrei solo sapere come stai, se hai voglia di dirmelo». «Effettivamente è un momento difficile. I miei genitori si stanno separando, faccio fatica a concentrarmi sulla scuola». «Qualche insegnante pensa che tu faccia atti di autolesionismo». «Sì, è vero. Sono molto legata a mia madre. Vederla stare male mi fa soffrire. Tagliarmi è un modo per scaricare la tensione». Le chiedo se per caso è capitato che qualcuno avesse alzato le mani su di lei, ma mi dice di no, in un modo che a me sembra convincente. La saluto con le parole che trovo per esprimerle vicinanza e supporto.

Un paio di giorni dopo mi avvisano che una studentessa si è tagliata in un bagno della scuola. Quando la incontro, mi racconta sofferenze difficili anche solo da immaginare. Poi mi parla della sua storia di autolesionismo. «Ho iniziato alla scuola elementare. I miei genitori litigavano e io mi ero convinta che fosse colpa mia. Così mi punivo. Facevo attività fisica fino allo sfinimento. Mi sono incrinata la colonna vertebrale. Poi ho continuato in molti modi negli anni successivi. Bruciature, tagli e altre cose. Ogni tanto sto meglio e non lo faccio più, ma poi ricomincio. Avevo una psicologa con cui mi trovavo bene, ma mio padre non ha più voluto che ci andassi, mi nega l’autorizzazione». Parliamo a lungo. Quando la saluto, la sua profonda tristezza mi rimane dentro.

Mi colpiscono molto i ragazzi che si fanno del male fisico per cercare di ridurre il male psicologico. Tutti sappiamo, e lo sanno anche loro, che le ferite poi rimangono tutte lì. Quelle sul corpo e quelle sull’anima. Sono ferite che parlano anche di noi adulti e che tutti dovremmo portarci addosso.

Vorrei fare un appello a chi si occupa di leggi. I ragazzi che hanno più di 14 anni dovrebbero poter decidere da soli se andare dallo psicologo (o da altri professionisti). Non è più tollerabile che fino alla maggiore età debba essere necessario il consenso di genitori che spesso sono causa del loro malessere. Naturalmente può interviene la magistratura, ma spesso con tempi che sono inaccettabili. Ci lamentiamo che i nostri ragazzi sono fragili e poco autonomi. Se vogliamo che crescano, riconosciamo loro almeno il diritto di chiedere aiuto quando sono consapevoli di averne bisogno.