Lo scenario della politica italiana non è entusiasmante. La destra cerca di farci credere che tutti i nostri problemi si risolvano prendendosela con gli immigrati. I Cinquestelle si sentono la banda degli onesti, ma poi emergono corrotti e incompetenti anche tra le loro fila. La sinistra vorrebbe rappresentare il popolo, ma il popolo se lo è perso, visto che il suo consenso rimane sempre intorno al 3% e non si domanda perché. Renzi si muove come il salvatore della Patria, ha provato il primo esperimento al mondo di rinnovamento del Paese ad insaputa del Paese stesso, ma alla prima occasione il Paese gli ha votato contro, facendogli pagare la mancanza di condivisione e rendendolo il leader più amato e odiato allo stesso tempo.

Nel frattempo l’ultima indagine di Ilvo Diamanti conferma le solite cose: la gente ha sempre meno fiducia nelle istituzioni, nei partiti, nei sindacati, nelle banche. Eppure incredibilmente continua ad avere voglia di partecipare. Forse dovremmo trovare il coraggio però di cambiare approccio. Basta con il gioco in cui ognuno va a caccia degli errori degli altri per avere ragione. Davvero non se ne può più di quelli del PD che attaccano i Cinquestelle e dei Cinquestelle che attaccano il mondo intero, di Salvini e Berlusconi che litigano a giorni alterni, della minoranza e della maggioranza del PD che si fanno la guerra, di tutti che sparano su Renzi e di Renzi che spara su tutti. Proviamo a giocare un’altra partita, quella di ricostruire le basi di un Paese civile dove ognuno si occupa del proprio campo, analizza con onestà le ragioni delle proprie vittorie e delle proprie sconfitte e indica il suo progetto di società piuttosto che criticare quello degli altri.

Qualche giorno fa Luigi Dei su Repubblica invocava un nuovo Rinascimento politico e culturale basato sul pensiero creativo. E il politologo Lorenzo De Sio aggiungeva che oggi «un progetto politico progressista con caratteristiche radicalmente innovative potrebbe davvero rappresentare una formula politica di grande successo». Ma poi esprime sfiducia nel PD e ritiene anacronistico il sindacato. Personalmente non credo che il campo progressista possa fare a meno né della spinta ideale della sinistra, né delle istanze di rinnovamento di cui è portatore il PD, né dell’interlocuzione con il sindacato. Ma certo occorre uno spirito diverso e creativo, inclusivo e non divisivo, capace di liberarsi delle strumentalizzazioni tra “renziani” ed antirenziani” e di cercare una “mediazione al rialzo” che trovi fondamento in alcune idee chiave. Ed oggi, senza più i riferimenti alle antiche ideologie, sembra esserci un unico modo per ritrovare consenso e idee. Ripartire dagli umori e soprattutto dalle esperienze delle persone. Perché non proviamo allora ad aprire le scuole, i teatri, gli auditorium per far incontrare amministratori, insegnanti, medici, sindacalisti, operai, artisti, imprenditori in modo che raccontino quello che fanno e come vedono le cose “dal basso”? Portiamo il vento della realtà nel Palazzo. Creiamo occasioni di dialogo tra ricchi e poveri, italiani e stranieri, giovani e anziani, colti e meno colti per ritrovare lo spirito pubblico e il senso di comunità. Cerchiamo il filo di un ragionamento collettivo che porti a individuare proposte concrete e persone con pensieri, parole e azioni finalmente coerenti. Insomma, ritroviamoci e ascoltiamoci. Ma ascoltiamoci davvero. Chi arriva per dare lezioni o accusare gli altri, chi vuole parlare e poi andare via, chi è senza idee e ripete slogan imparati a memoria, chi dice banalità su cui siamo tutti d’accordo, ecco, tutti questi, per una volta, facciano il favore di stare a casa.

Nei mesi scorsi due film mi hanno colpito: “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Non essere cattivo”. In entrambi si racconta il malessere di un’umanità di cui troppo spesso ci dimentichiamo, che però a volte è capace di straordinarie forme di solidarietà e trova la via del riscatto. Sono i veri eroi del nostro tempo. Forse il campo progressista potrebbe ripartire da lì, dalla lezione commovente che ci offrono gli “ultimi” in quei due film. Perché, se comprenderemo la fatica e la sofferenza del cambiamento delle persone che si trovano più in difficoltà, avremo maggiori possibilità di rinnovare l’intera società e migliorare la vita di tutti.