La settimana scorsa ho partecipato a Milano a una giornata dedicata al rapporto tra scuola e teatro. Sono state presentate molte iniziative realizzate in tutta Italia. Sul palco si sono alternati studenti, insegnanti, presidi, attori, registi, esperti, amministratori. Tutti hanno raccontato la meraviglia del teatro. Con testimonianze cariche di emozione, soprattutto da parte dei ragazzi.

«Faccio teatro da quando ero piccola, mi ha fatto crescere, mi è servito a conoscermi meglio». «Il laboratorio di teatro è stata l’esperienza più bella della mia vita». «Se tornassi indietro, lo rifarei mille volte». «Io sono timida, chiusa, con il teatro sono riuscita ad esprimermi». «Ha migliorato i rapporti tra di noi, ci ha aiutato a fare gruppo». «Mi ha insegnato a non aver paura di dire le cose e a stare su un palco come questo davanti a tante persone».

Di teatro si parla poco. Soprattutto nel mondo della scuola. Dove si fanno laboratori e si portano i ragazzi a vedere gli spettacoli. Ma rimangono spesso iniziative occasionali, che riguardano un numero limitato di studenti. La comunità scolastica non è coinvolta e, soprattutto, l’istituzione non viene toccata. Se vogliamo davvero dare valore al teatro nella scuola, dovremmo cambiare prospettiva e ripartire da un concetto. Il teatro è vita. Lo è perché consente di mettersi profondamente in gioco, di liberare il proprio corpo, le proprie idee, i propri sentimenti. E allora non ha senso farlo in scuole che sono “morte”. Dove si fa solo trasmissione di conoscenze, dove non c’è libertà di pensiero, dove gli studenti non possono esprimere quello che pensano e quello che sentono, dove, ad esempio, non si può parlare di sesso o di morte. In queste scuole il teatro diventa solo una “foglia di fico culturale” per fare bella figura. Nelle scuole capaci invece di portare la vita al proprio interno, disponibili ad accogliere davvero la dimensione umana e relazionale, le esperienze teatrali ritrovano la loro ragion d’essere.

In questi giorni a Firenze si sta aprendo di fatto la campagna elettorale. L’impressione è che alla politica manchi ancora il coraggio di uno sguardo visionario, la capacità di immaginare e realizzare innovazioni sociali e culturali profonde. Manca alla politica, come manca alla scuola. Forse proprio il teatro potrebbe aiutarci perché ha una potenza rivoluzionaria straordinaria. Basterebbe solo che avessimo la voglia di lasciarcene contagiare.