Uscita di scuola. Un ragazzo scavalca la recinzione e attraversa la strada. Una macchina lo investe. Rimane a terra con il volto insanguinato. Un brutto incidente, ma fortunatamente le conseguenze non sembrano gravi. Viene contattata la famiglia. Intanto accorrono gli studenti, gli insegnanti, l’ambulanza, i curiosi. Mentre i medici prestano i primi soccorsi, ci sono le reazioni. I compagni di classe piangono. I professori stanno in silenzio, addolorati. Una mamma arriva e urla. “Sulle strisce, dovete attraversare sulle strisce, non qui, lo vedete poi cosa succede”. Pochi hanno assistito all’incidente, ma tutti si sentono in diritto di commentare. Io sono vicino ad un signore che si agita. “Questa situazione non è più tollerabile. Tanti ragazzi scavalcano” Poi si rivolge agli studenti. “Quel cazzo di preside della scuola dovrebbe riaprire il cancello che c’è qui ed è sempre chiuso”. “Guardi che quel cazzo di preside é a fianco a lei” gli fanno notare. “Ah, scusi” mi fa. “Si figuri. Comunque io non ho il potere di riaprire il cancello, compete alla Provincia, ora Città Metropolitana. Ma è una questione complessa da risolvere.” “Ah, la Provincia, buona quella, non fanno mai nulla, è tutto un magna magna.” “Ma che c’entra la Provincia?” Interviene un altro “E’ colpa dei ragazzi di oggi, che fanno le cose senza testa”. Sono colpito. Di fronte al dolore di un ragazzo ancora a terra, molti si esercitano in discorsi qualunquisti e moralisti. Senza empatia, senza rispetto. Si è rotto qualcosa nei legami sociali che ci uniscono. La rabbia verso la Politica e la diffidenza verso l’Altro ci lasciano soli, smarriti nei luoghi comuni. Se vogliamo ritrovare la nostra identità, dobbiamo recuperare al più presto il senso di appartenenza ad una comunità, l’idea di una storia collettiva.