Come il resto della società, anche la scuola è molto scossa dall’epidemia da Coronavirus e dalle severe misure che il Governo sta assumendo. Tra studenti, famiglie, insegnanti, personale Ata prevalgono disorientamento, preoccupazione, senso di impotenza. I rischi maggiori appaiono due: il panico e l’anarchia. Dobbiamo evitare che le persone particolarmente ansiose e quelle insensibili agli allarmi si lascino andare a comportamenti diversamente sconsiderati. Chi esagera e chi minimizza commettono due errori speculari. Per scongiurarli serve tenere alto il livello di informazione e consapevolezza e, nel rispetto delle misure precauzionali che vengono suggerite, mantenere i legami sociali, il senso di comunità, una cornice condivisa in cui collocare le proprie azioni.
Nella difficilissima situazione che stiamo vivendo e che potrebbe durare ancora diverse settimane, la scuola si sta mobilitando per cercare di fare la propria parte. Stiamo uniti e cerchiamo di tenere il filo delle relazioni con gli studenti e le famiglie. I momenti di difficoltà possono essere anche occasioni per fare i conti con noi stessi, con i nostri punti di forza e le nostre fragilità, umane e professionali. In questo caso, non potendo svolgere la didattica in presenza, bisogna organizzarsi con quella a distanza. Cercando però di non far finta di essere supereroi. Non lo siamo. Non siamo ancora pronti a gestire adeguatamente una situazione di emergenza di massa di questo tipo. Possiamo solo giocare in difesa e sperimentare gli strumenti disponibili. Consapevoli che non è facile far funzionare rapidamente macchine organizzative di 100-150 insegnanti e 1000-1500 studenti. Per questo non cadiamo nella trappola psicologica di “dover finire il programma”. Siamo in emergenza, abbiamo meno tempo e non potremo affrontare tutti gli argomenti previsti. Non importa. Accettiamolo senza caricare di ansia gli studenti e noi stessi. C’è da fare anche un’altra considerazione. In frangenti eccezionali come questo, la didattica a distanza va benissimo, ci consente di sperimentare soluzioni tecnologiche fantastiche. Però non dimentichiamo che la didattica migliore è quella in presenza, quella corpo a corpo. Lì c’è il senso profondo della scuola, che nessuna tecnologia a distanza potrà mai sostituire. Un’idea ben espressa in questi giorni da Giuseppe Bagni, presidente nazionale del Cidi. «Una scuola senza contatto tra studenti e insegnanti può solo impegnarsi a “passare la nottata”. La scuola solo su piattaforma non è scuola. È un pessimo surrogato che può essere scambiato per scuola solo da coloro che la vedono ancora come una successione di lezioni, poi di compiti sulle lezioni e infine interrogazioni sui compiti e le lezioni. Se la risposta sufficiente fosse un software e una piattaforma vuol dire che abbiamo scherzato». Ecco, non scherziamo.