«Collega, come è possibile che tutti gli studenti abbiano insufficienze solo con te? Forse pretendi troppo». «Io invece non capisco come possano avere tutti otto e nove con te. Forse pretendi troppo poco?». «Il punto è che io i ragazzi li ascolto, cerco di farli partecipare attivamente e loro mi seguono. Tu sei sicuro di curare le relazioni con loro?». «Questa storia delle relazioni comincia a diventare noiosa. E spesso la sostiene chi poi non si preoccupa altrettanto della preparazione». «Oggi molti ragazzi hanno disagi personali, familiari e sociali. Dobbiamo tenerne conto se vogliamo essere veri educatori». «Il buonismo ha già fatto troppi danni. Sembra che oggi tutti gli studenti abbiano dei problemi. Bisogna dare regole ed essere rigidi. Solo così si aiutano i ragazzi ad essere all’altezza delle situazioni che incontreranno nella vita e nel lavoro». Tra insegnanti “buoni” e insegnanti “cattivi” è una continua guerra di posizione. Che non fa il bene degli studenti. Non si comprende perché mantenere alte le richieste della scuola debba essere in contrasto con la cura delle relazioni. O perché un insegnante non possa essere al tempo stesso rigoroso ed empatico, esigente e coinvolgente. In questi giorni Galimberti ha fatto un elogio dei professori severi, criticando i genitori che difendono sempre i figli. Personalmente sposterei però l’accento su un piano diverso. Non sono buoni insegnanti quelli che fanno gli “amici dei ragazzi” e giocano al ribasso sugli obiettivi culturali. E nemmeno quelli che li caricano di compiti e puntano a fare selezione. I buoni insegnanti sono quelli che, in un clima sereno e stimolante, portano avanti il maggior numero possibile di studenti. Magari con una buona preparazione, autonomia di pensiero e passione per quello che hanno studiato.