Sui giornali è scoppiata la polemica sulle scuole che discriminano. Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Senza entrare troppo nei tecnicismi, in alcuni casi è esplicitamente richiesto alle scuole di descrivere le caratteristiche sociodemografiche della propria utenza. Ad esempio, la percentuale di ragazzi stranieri o il numero di studenti con disabilità sono dati oggettivi che possono essere riportati in documenti pubblici senza che questo si configuri come un atto discriminatorio. Il problema sta altrove. E nasce quando una scuola, più o meno chiaramente, fa intendere che privilegia studenti con determinate caratteristiche sociali. Magari facendosene vanto, nella convinzione che la propria eccellenza si riconosca nella ridotta presenza di studenti provenienti da altre culture o da contesti economici disagiati. Sono gravi le parole dette o scritte in questo senso, ma sono ancora più gravi i “non detti”, i comportamenti discriminatori quotidiani. C’è da dire però che le scuole che si comportano così non sono molte. Anzi. La maggioranza delle scuole accoglie tutti e fa un prezioso lavoro di inclusione. Quindi è importante non ingigantire il problema di cui si sta parlando. Un problema che però esiste. Nel nostro Paese la composizione sociale delle famiglie degli studenti dei licei è enormemente diversa da quella delle famiglie degli studenti dei professionali. E le statistiche sugli esiti scolastici mettono in evidenza come cambiano le possibilità di successo in base alle classi sociali di appartenenza. Il quadro che un po’ tutti conosciamo racconta di una situazione in cui ci sono scuole di “serie A”, frequentate da ragazzi privilegiati e “scuole-ghetto”, dove si concentrano tante problematiche sociali. Questa è di fatto una situazione discriminatoria. La scuola dovrebbe servire a ridurre le differenze sociali e promuovere l’uguaglianza. Invece a volte diventa un luogo in cui quelle differenze si riproducono e in alcuni casi addirittura si ampliano. È il problema di fondo su cui tutti dovremmo interrogarci. Finché il figlio di un operaio avrà opportunità infinitamente minori del figlio di un avvocato non diventeremo mai una vera democrazia. La scuola dovrebbe essere il luogo di tutti. Italiani e stranieri, ricchi e poveri, ragazzi cosiddetti normodotati e con disabilità, che crescono insieme e imparano gli uni dagli altri. Se viviamo in una scuola (e ne esistono davvero) senza nemmeno un ragazzo con disabilità o senza un immigrato, dovremmo porci qualche domanda. E forse vergognarci un po’. La scuola e la società eccellenti si creano attraverso la convivenza tra diversi. Diciamolo ad alta voce. Scriviamolo sui nostri documenti. E, soprattutto, pratichiamolo. Proviamo a costruire un racconto di comunità mettendo insieme storie differenti. Sarà certamente più bello, più interessante e più giusto.