Come è noto, uno studente che si trovava a Milano con la scuola è morto cadendo dal quinto piano dell’albergo dove alloggiava. Quando succede un fatto drammatico come questo, si ripete la consueta polemica sulle gite scolastiche. E c’è sempre qualcuno che ne propone l’abolizione. Finché a dirlo sono i familiari afflitti dal dolore, è comprensibile. Quando lo sostiene qualche addetto ai lavori, si rimane francamente allibiti. Sarebbe come proporre di abolire la vendita di motorini perché si è verificato un incidente stradale o chiedere la chiusura degli stadi perché un giocatore è morto durante un evento sportivo. Di fronte ad una tragedia come questa, dovremmo tutti chiuderci in un rispettoso silenzio e lasciare alle autorità giudiziarie l’accertamento dei fatti per capire le cause di quanto avvenuto. Se proprio vogliamo aprire una riflessione sulle gite scolastiche, dovremmo farlo a freddo e non sull’onda emotiva di un fatto drammatico. Adesso possiamo solo proporre alcune semplici considerazioni. Le gite scolastiche (o viaggi di istruzione come, più correttamente, si dovrebbero chiamare) hanno un valore? Lo hanno, semplicemente, se decidiamo di attribuirglielo, altrimenti diventano un rituale inutile. Se però le organizziamo correttamente, sono esperienze formative importanti sul piano artistico e culturale ed occasioni di socializzazione preziose per studenti e docenti. Non è un caso che nella memoria di noi adulti rimangano spesso impressi in modo indelebile i ricordi di quella esperienza. Che poi nei viaggi di istruzione ci sia un problema di sicurezza, non c’è dubbio. E attiene alla scelta dei mezzi di trasporto, degli alloggi, delle mete, degli itinerari. Poi c’è la questione degli insegnanti che accompagnano i ragazzi. Hanno un compito delicato, si assumono responsabilità importanti ed andrebbero maggiormente riconosciuti e valorizzati. Altrimenti saranno sempre meno coloro che danno la disponibilità e i viaggi di istruzione non si faranno più. E sarebbe un errore grave perché escluderemmo un’importante opportunità dall’offerta formativa della scuola. Pensiamo solo a quante scuole propongono esperienze di viaggi-studio all’estero, che sono fondamentali nella crescita dei ragazzi. Sulla questione della sicurezza, dobbiamo essere tutti consapevoli che certamente occorre rafforzarla, ma rimarranno sempre dei rischi. Si può chiedere ad un docente di vigilare con attenzione, ma non è possibile sorvegliare i ragazzi 24 ore su 24. Oltretutto il mestiere dell’insegnante non è quello dell’agente di custodia o del poliziotto. La questione principale in realtà è un’altra e dovremmo dircela con franchezza. La sicurezza è innanzitutto un fatto educativo. Che i ragazzi vadano in gita per divertirsi è normale, così come è normale che eccedano un po’. Alzi la mano chi non l’ha mai fatto. Ma di fronte al fatto che qualche studente, durante quell’esperienza, senta il bisogno di ubriacarsi, far uso di sostanze o abbandonarsi a comportamenti gravemente a rischio, il problema non è la gita. Altrimenti ci affidiamo ad una risposta comoda per liberarci le coscienze. Il problema è che è mancato qualcosa nel processo educativo. Ed allora dovremmo interrogarci tutti, scuola e famiglia innanzitutto, su quanto è avvenuto. E magari evitare questa assurda discussione sull’abolizione delle gite perché sono situazioni a rischio. Quale attività umana non lo è? Vogliamo abolire tutte le situazioni a rischio dalla nostra vita? Allora barrichiamoci in casa. Ma scopriremmo che è pericolosissimo perché gli incidenti domestici sono i più frequenti e la principale causa di morte.