n Italia è nato da poco un nuovo Governo. Ogni volta ci auguriamo che porti qualcosa di buono, anche nella scuola. Auspici finora spesso delusi, ma non perdiamo la speranza. Un giorno qualcuno ci stupirà. Nel frattempo però la scuola non può aspettare. Il bisogno di cambiare è sempre più urgente. E allora, nell’attesa che dall’alto si degnino di mandarci dei segnali, il rinnovamento non può che arrivare da noi. Da insegnanti, presidi, studenti, genitori. Il cambiamento dal basso è davvero possibile. Le tante storie di buona scuola lo stanno a dimostrare. Basta volerle vedere e capire come hanno fatto. Ma va detto che il rinnovamento non può essere quello del singolo insegnante-eroe che dedica la sua vita all’insegnamento. Quella è una storia bella, che però è in realtà un segnale di qualcosa che non funziona. La buona scuola è quella che cambia il sistema, il contesto, il clima. Sono le storie di comunità, in cui tutti vengono messi nelle condizioni di fare bene senza bisogno di diventare eroi.
Ieri in Toscana ha ricominciato a suonare la campanella. Senza nessuna novità significativa e con i problemi di sempre, che rischiano di farci affogare nella routine, nelle mille emergenze quotidiane. Dovremmo invece trovare il tempo per interrogarci sul senso di quello che facciamo, sulla direzione che intendiamo prendere. O, almeno, per cercare di capire da dove ripartire. Forse una indicazione ce la può dare la drammatica vicenda di una quattordicenne del Kenya emersa in questi giorni. In quel Paese molti non hanno i soldi per comprare gli assorbenti. Lei un giorno è andata a scuola, ha avuto il ciclo e si è macchiata i vestiti. L’insegnante se ne è accorta e ha deciso di farla uscire dalla classe, additandola come “sporca”. Tornando a casa, la ragazza ha dapprima raccontato in famiglia l’umiliazione subita e, poco dopo, si è impiccata.
Sembrerebbe un fatto che non ci riguarda, che può succedere solo in realtà più arretrate, molto diverse dalle nostre. Ma non è così. Anche i nostri ragazzi soffrono di solitudine, subiscono umiliazioni, sono a combattere con i loro fantasmi. Che spesso non vediamo. Perché siamo a nostra volta presi dai nostri fantasmi. O perché non abbiamo gli strumenti per leggere cosa passa nella testa e nel cuore di un adolescente di oggi. Come dimostra la vicenda della preside di Scampia che ha impedito a un suo studente di entrare in classe perché aveva la testa rasata e le treccine blu, simbolo, a suo avviso, di chi non è acculturato. Queste storie sono un monito per tutti noi. Abbiamo il dovere di prestare la massima attenzione ai ragazzi che abbiamo davanti tutti i giorni. Alle persone, non solo agli studenti. Agli stati d’animo, non solo alle prestazioni. Perché nessuno ha buone prestazioni se non sta bene. E’ una banalità, eppure spesso ce la dimentichiamo.