In questi giorni nelle scuole superiori si svolgono gli Esami di Stato, più noti come esami di maturità. Un rito francamente stanco e piuttosto inutile. Nel mondo del lavoro il voto di maturità conta poco. Chi assume non lo guarda perché fa selezione tramite colloqui e test che gestisce in autonomia. E anche alle Università quel voto non interessa. Ormai i test d’ingresso si tengono in primavera, quando ancora ragazze e ragazzi frequentano la quinta. Con il rischio di un paradosso. Uno studente potrebbe essere bocciato alla maturità avendo in tasca l’accesso all’Università e un altro potrebbe prendere il massimo ma non aver superato i test universitari. Il voto del diploma serve quindi solo a riconoscere il lavoro svolto dagli studenti, ma non ha alcuna spendibilità reale. Per questo appaiono un po’ surreali le scene di commissari di maturità che si accapigliano per un punto in più o uno in meno e si appassionano nella difesa di una presunta oggettività delle prove a scapito di una valutazione complessiva dello studente.

Considerando la situazione, se potessi scegliere, giocherei un’altra partita. Metterei in campo un sistema scolastico senza bocciature. Al termine, ragazze e ragazzi potrebbero ricevere un attestato nel quale gli insegnanti interni, che li conoscono, attribuiscono a ognuno il livello raggiunto, positivo o negativo. Infine, come all’Università, introdurrei una tesi finale, nella quale gli studenti potrebbero mettere alla prova quello che hanno imparato con una ricerca o un progetto che sta loro a cuore. Questo farei, se potessi. Ma non posso.

Intanto dovremmo darci tutti una calmata. Perché gli echi che arrivano dalle aule delle commissioni degli Esami di Stato raccontano spesso di un’agitazione davvero fuori luogo. Ogni lavoro va affrontato seriamente, ma quando ci prendiamo troppo sul serio, soprattutto per un rito non così decisivo per il futuro degli studenti, perdiamo la misura del nostro ruolo. E alla scuola tutto serve, tranne docenti e dirigenti che si sentono giustizieri, in dovere di andare nel mondo a rimettere le cose a posto.