La madre di una studentessa mi chiede un appuntamento e si presenta in presidenza insieme alla ragazza.

«Buongiorno Preside, mia figlia vorrebbe fare un’esperienza di studio all’estero con un’associazione. Ci aiuta a capire come organizzarci rispetto alla scuola?». «Quando dovrebbe partire?». «Lei è in terza, andrebbe verso la fine della quarta, ad aprile 2025». «Aprile 2025? E come mai me ne parlate così tanto tempo prima?». «Queste esperienze costano molto, per noi è un grande sacrificio. Se prenotiamo adesso, è previsto uno sconto. Poi in quel momento lei diventerà maggiorenne e potrà decidere da sola. Prima sarebbe più complicato, sono separata e ho un rapporto difficile con mio marito». Le due donne sono molto discrete, ma il dolore profondo che hanno attraversato si intuisce nitidamente.

Approfondiamo gli aspetti burocratici della questione e cerchiamo di capire come la scuola potrebbe sostenere il percorso all’estero. Poi chiedo alla ragazza: «Mi racconti perché vuoi fare quest’esperienza?». «Ho sempre desiderato conoscere altri posti, altre culture». La madre aggiunge: «Non abbiamo avuto un periodo facile, ha anche bisogno di staccare». Mi rivolgo di nuovo alla figlia. «E come mai l’Africa? In genere i ragazzi pensano ad altre destinazioni». «Sì, so che molti preferiscono l’Europa o gli Stati Uniti. Ma io vorrei conoscere una cultura completamente diversa dalla nostra». «Da dove nasce questo tuo interesse?». Guarda la madre e sorride. «Quando ero piccola, mia mamma mi leggeva molte storie ambientate in Africa, che mi hanno appassionato. Così mi è venuta la voglia di vedere da vicino quei luoghi». «Ma andrai in scuole internazionali?». «Voglio frequentare le scuole degli africani, studiare la loro lingua, vivere come vivono loro». «Ho capito. Comunque, nel frattempo, da qui a un anno e mezzo, potrai fare altre esperienze all’estero, magari più vicino». «No. D’estate voglio lavorare per aiutare mia madre a mettere soldi da parte per il viaggio in Africa». Ogni volta che pronuncia la parola Africa, i suoi occhi si illuminano.

Parliamo ancora un po’. Poi vedo che si guarda intorno. «Mi piace la sua presidenza. Guardo sempre gli ambienti in cui mi trovo. Questo mi piace». «Grazie, quello che dici mi rende felice». Ci salutiamo affettuosamente. Quando esce, mi rimangono addosso la sua tenerezza e la forza del suo sogno. Che hanno la bellezza delle cose costruite con le lacrime.