Una radio locale invita me e un altro preside a un confronto sul tema dei cani antidroga nelle scuole. Lui è a favore perché ritiene che vada dato un segnale forte agli studenti di contrasto all’uso di sostanze, che si sta sempre più diffondendo. Io sono contrario perché credo che nelle scuole la lotta alla droga spetti al preside e agli insegnanti attraverso azioni educative, non alle forze dell’ordine (o ai cani), che dovrebbero stare fuori dalle aule e occuparsi dei criminali veri che lucrano sulla pelle dei ragazzi. A un certo punto viene trasmesso il punto di vista di alcuni ascoltatori. «Ma di che si ragiona? Contro chi si droga serve “tolleranza zero”». Ho perso un po’ il controllo. L’espressione “tolleranza zero” non la tollero. Ho provato a capire perché.

Incontro ogni giorno molte persone. Quelle che mi chiedono “tolleranza zero” per i ragazzi che sbagliano hanno in genere due caratteristiche. La prima è che loro da giovani hanno sbagliato molto e ne hanno combinate di tutti i colori. La seconda è che la “tolleranza zero” la vogliono per gli altri; se a violare le regole sono loro o i loro figli, le cose cambiano.

«È vero, mia figlia arriva in ritardo, ma ci vorrebbe un po’ più di comprensione». «Anch’io da ragazzo ho fatto qualche forca, non mi sembra un dramma». «Mio figlio ha usato un linguaggio offensivo però può capitare di essere nervosi». «Quando ero a scuola studiavo poco, i professori chiudevano un occhio e me la sono sempre cavata».

La “tolleranza zero” è un’espressione della gente ipocrita. Ma c’è un altro aspetto. Chi invoca la “tolleranza zero” è ancora dentro il pensiero magico dei bambini. Parla per slogan, pensa che cose complesse si possano risolvere in modo semplice. «E che ci vuole? Appena sbagliano, basta dargli una bella lezione. Sospendeteli e vedrete che capiscono». Naturalmente questi che pensano di sapere tutto poi ti raccontano storie personali piene di fallimenti. Ma non se ne rendono conto perché guardano sempre gli altri e loro non si vedono.

La “tolleranza zero” è priva di senso in una società complessa. Ma lo è ancora di più nella scuola. Dove si lavora tutti i giorni ascoltando con pazienza le storie personali e cercando faticosamente caso per caso risposte diverse alle diverse situazioni. Perché i ragazzi non sono tutti uguali, fortunatamente.

Chi educa con frasi fatte e formule magiche ha semplicemente sbagliato mestiere.