In questi giorni gli adolescenti sono protagonisti su tutti i giornali. Greta, la ragazza svedese che lotta contro l’inquinamento ambientale. Rami e Samir, che hanno salvato una scolaresca dal dirottamento di un pullman da parte di uno squilibrato. Simone, che si oppone a una manifestazione di Casapound contro i Rom. Di questi ragazzi colpiscono il coraggio, gli ideali, la voglia di cambiare il mondo. Cose che noi adulti sembriamo avere smarrito. Cinici, rassegnati, lamentosi, rimaniamo chiusi nei nostri salotti a praticare lo sport nazionale della “Critica dell’Altro”, con poche idee e senza impegnarci in prima persona. Ma c’è anche una questione che riguarda il linguaggio. I giovani, è vero, si esprimono spesso in modo sgrammaticato e eccessivamente elementare. Ma sono semplici, diretti, chiari. Noi adulti siamo invece logorroici, ripetitivi, predicatori. Certo, siamo più preparati di loro, conosciamo più cose. E la nostra esperienza ci consente di cogliere aspetti della complessità che ai ragazzi sfuggono. Ma evidentemente non basta. Con le nostre sovrastrutture ideologiche e i nostri vecchi arnesi retorici non riusciamo più a leggere la realtà di oggi. Né a tradurre quello che siamo e quello che sappiamo in istanze di cambiamento.
Simone è diventato un caso nazionale. Un ragazzo di periferia, che comunica e agisce in modo autentico e coraggioso, è sembrato a tutti un miracolo umano e sociale. Ma la verità è che noi adulti facciamo fatica a capire chi è davvero Simone e da dove sia venuto fuori perché il suo modo di ragionare non corrisponde ai nostri schemi culturali. E lui stesso rifiuta le etichette politiche che noi tenderemmo a mettergli addosso. E poi c’è un altro aspetto. Alcuni di noi, convinti che bastino la cultura e i capelli bianchi per essere persone migliori e avere ragione, finiscono per trattare i giovani con eccessiva sufficienza. Simone ha solo 15 anni e deve crescere. Ma non lo aiuteranno il nostro cinismo e il nostro snobismo. Non aiuteranno lui e non aiuteranno il nostro Paese.
Forse è arrivato il momento di smetterla di ragionare di adulti e ragazzi in termini di “noi” e “loro” e di mettere in atto una “mossa sociale”: un’alleanza tra le generazioni. Lo diciamo spesso, ma non lo facciamo mai. Per troppo tempo ci siamo nutriti, in modo alterno, di visioni gerontocratiche o rottamatrici. Ricominciamo invece a far dialogare le nostre diverse visioni del mondo. Ricreiamo momenti di incontro in cui possiamo pensare e fare delle cose insieme. Contaminiamo l’entusiasmo e la leggerezza dei ragazzi con il sapere e l’esperienza dei grandi. Ricominciamo a imparare gli uni dagli altri. Qualcosa di buono verrà fuori sicuramente. Magari anche una nuova idea di comunità.