In questi giorni i quotidiani riportano la notizia della crescita del gioco d’azzardo. Anche in Toscana il fenomeno è sempre più diffuso e coinvolge molti ragazzi. Ma se ne parla poco o nulla. Soprattutto nelle famiglie e nelle scuole. Come sappiamo, chi gioca lo fa di nascosto, cercando di non farsi scoprire da chi gli sta vicino. Quando le cose emergono, in genere è già tardi. Le relazioni sono compromesse e molti soldi sono stati dilapidati.

Qualche settimana fa avevo raccontato la storia del ragazzo ludopatico che era venuto in presidenza a raccontarmi la sua vicenda. Per molti mesi si era abbrutito dietro al gioco, aveva abbandonato lo sport e trascurato la scuola. Nessuno si era accorto di nulla fino a quando, in modo un po’ casuale, non lo hanno scoperto i suoi genitori, ai quali aveva sottratto molto denaro. Da quel momento si era aperto un forte conflitto in famiglia, che aveva causato un grave disagio nel ragazzo.

Qualche giorno fa l’ho richiamato per sapere come stavano andando le cose. «Un po’ meglio, ho ripreso a studiare e a fare sport». «Hai ancora la tentazione del gioco? Stai riuscendo a resistere?». «La tentazione c’è, ma non ho più giocato. Soprattutto non frequento più le compagnie che mi trascinavano a farlo». «E con i genitori come va?». «Il clima è un po’ più sereno, però ancora non si fidano. E poi c’è un problema». «Quale?». «Io vorrei andare dallo psicologo, ma loro sono contrari. Mi hanno detto che non c’è bisogno dello psicologo, che lo psicologo sono loro che sono la mia famiglia. Ma io sento che avrei bisogno dell’aiuto di un esperto». Essendo ancora minorenne, gli psicologi non possono intervenire senza l’autorizzazione dei genitori. Gli ho detto che avrei provato a cercare un’altra strada. Poi gli ho fatto i complimenti per come stava affrontando la cosa e ho cercato di incoraggiarlo a proseguire nel suo percorso, ribadendo che comunque la porta della scuola rimane sempre aperta.

Le conversazioni con i ragazzi sono sorprendenti. In un caso come questo colpisce che un minorenne reagisca in modo così maturo e consapevole, che sia lui a dire quello che dovrebbero dire i cosiddetti “grandi”. L’ennesima conferma che spesso la principale causa del disagio dei nostri ragazzi siamo noi adulti. E che, se vogliamo davvero aiutarli, dovremmo guardare ai nostri comportamenti, non ai loro.