«Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti». Il pensiero di Antonio Gramsci viene in mente spesso in questi giorni a proposito di quello che succede sulle tematiche ambientali o sui salvataggi in mare degli immigrati, ad esempio. Si può essere d’accordo o meno con le azioni di chi sta prendendo posizione. Di Salvini e dei suoi sostenitori da un lato o delle varie Greta e Carola dall’altro. Ma certo non si può dire che non abbiano un punto di vista e che non lo stiano perseguendo con determinazione. Intorno a loro sembra regnare il silenzio degli indifferenti. O di chi esprime una posizione con voce talmente fioca che nessuno la sente.
Qualche giorno fa due studentesse di Brescia sono state aggredite rientrando a casa la sera. «Nessuna persona che ha sentito le nostre richieste di aiuto si è fermata ad aiutarci», è stato il loro grido di dolore. Erano indignate con chi non è intervenuto quasi quanto con chi ha commesso la violenza. E intendono denunciare tutti, anche chi ha fatto finta di non vedere, chi si è girato dall’altra parte. Quelli che non intervengono sono probabilmente gli stessi che poi davanti al computer, coperti dall’anonimato, fanno i leoni da tastiera.
Dovremmo interrogarci su quanto sta avvenendo. Le questioni della società riguardano ognuno di noi e abbiamo tutti il dovere di dare il nostro contributo. Non possiamo continuare ad aspettare l’uomo forte che risolva le cose. E non possiamo più permetterci di fare i rivoluzionari da salotto. Qualche giorno fa, in uno straordinario monologo, Valerio Mastrandrea denunciava un atteggiamento tutto italiano: dare la colpa sempre a qualcun altro. A quelli di prima, a quelli di sopra, a quelli di sotto, a quelli di lato. Senza mai dire quello che possiamo fare noi. Quello che dobbiamo fare noi. Nella scuola su questo siamo campioni. Se qualcosa non funziona, è responsabilità dell’insegnante dell’anno precedente, del collega, dei ragazzi, del preside, del ministero. Di tutti tranne che nostra, insomma. Rischiamo così di tirar su adulti che non rispondono delle proprie azioni, che non prendono parte, che non sanno chiedere scusa. Rischiamo di crescere generazioni di indifferenti. Nei ragazzi manca il coraggio di fermare un compagno che sbaglia, negli adulti scatta il riflesso corporativo in difesa del collega. Forse è questo il male dei nostri tempi. L’omertà diffusa, quotidiana. Martin Luther King ci aveva allertato. «Non ho paura della cattiveria degli uomini malvagi, ma del silenzio degli uomini onesti». Per combattere quel silenzio, dovremmo ricominciare a odiare gli indifferenti e mobilitarci per i nostri ideali. Qualcuno lo sta già facendo. Non lasciamolo solo.