I docenti della scuola italiana cominciano a non poterne più. Ogni classe ha ormai troppe “situazioni particolari”: i ragazzi con disabilità, quelli con disturbi di apprendimento, i non italofoni, chi ha gravi disagi sociali o familiari, ecc. Tutto questo negli ultimi anni viene espresso con un nuovo termine: BES, Bisogni Educativi Speciali. Naturalmente corredato dal solito pesante contorno di norme e procedure. Famiglie sempre più agguerrite, sostenute da neuropsichiatri più o meno in buona fede, arrivano a scuola chiedendo legittimamente che si tenga conto delle certificazioni prodotte. Così gli insegnanti si dibattono faticosamente tra PEI, PDP e mille riunioni, cercando di dare risposte educative adeguate alle esigenze di ognuno. Ma forse bisognerebbe fermarsi a riflettere. Non si fa inclusione affogando i docenti in un mare di carte. Né pensando che in classe si possano fare trenta lezioni con verifiche differenziate per trenta ragazzi. Più che lezioni diverse, servirebbe un modo diverso di fare lezione. Come nell’apprendimento cooperativo. Una metodologia unica per tutti, nella quale però ognuno può esprimere la propria diversità, trovando “la sua misura”, i suoi tempi e i suoi percorsi di apprendimento.