Qualche giorno fa il quotidiano La Repubblica riportava un’intervista a Giuseppe Moreno, laureato in ingegneria con 110 e lode e assunto come netturbino al Comune di Barletta. Non è l’unico. Nove vincitori su tredici di quel concorso sono laureati. Queste alcune dichiarazioni di Giuseppe Moreno. «Mi sono sempre dato da fare. Certo, se avessi avuto qualcuno alle spalle, forse avrei potuto fare carriera nel settore per cui ho studiato. Ma non ho avuto questa possibilità. E sono una persona pulita: mai cercato raccomandazioni. Ero stufo di fare piccoli lavoretti sempre precari, sempre sottopagati o addirittura gratis. Stufo, come moltissime persone della mia generazione, di affrontare una realtà lavorativa disarmante. Non è stato facile rinunciare, almeno momentaneamente, alla carriera da ingegnere. Mi sono risposto “non guardare il titolo di studio, lavora e basta”. Bisogna guardare in faccia la realtà. Voglio lavorare e mettere su famiglia con la mia compagna. Perché prima di essere un ingegnere sono una persona».
Con il massimo rispetto per le parole di Giuseppe e per la dignità di tutti i lavori, in casi come questo siamo di fronte al fallimento dello Stato e della società. Se non riusciamo ad offrire ai nostri ragazzi il futuro che hanno sognato, se non creiamo le condizioni perché trovino il lavoro per il quale hanno studiato e fatto sacrifici, non potremo mai costruire una società migliore. Giuseppe ha fatto un brillante percorso di studi e ha anche mantenuto un’integrità morale che gli ha consentito di non cedere alla tentazione delle raccomandazioni. Anche se lui, forse, le raccomandazioni non le avrebbe potute avere. Perché non è nato nella famiglia giusta e non vive nemmeno nella metà giusta del Paese.
Le tante storie come quella di Giuseppe ci mostrano con chiarezza le disuguaglianze economiche, sociali e geografiche che ancora esistono nel nostro Paese. E ci interrogano su quello che stiamo (e non stiamo) facendo per cercare di ridurle. Cosa fa la scuola per garantire davvero a tutti le stesse opportunità e gli stessi livelli di istruzione? Cosa fa lo Stato perché il mercato del lavoro sia davvero equo? Cosa facciamo tutti per sostenere i ragazzi di talento che vivono in contesti economicamente più svantaggiati? Apriamo davvero un confronto serio su questi temi. Un confronto educativo, politico, culturale. Non è più accettabile che chi nasce nelle famiglie giuste, anche senza talento e spirito di sacrificio, abbia il futuro assicurato. E che chi invece non ha nessuno alle spalle, nonostante gli sforzi, non possa ambire a ricoprire ruoli di maggiore responsabilità. Tutti, nessuno escluso, siamo chiamati a dare il nostro contributo perché queste ingiustizie non si continuino a ripetere.